Musicisti del quartiere, il maestro Luca Turrisi

Turrisi_LucaDall’appartamento che ci ospita al nono piano quasi riusciamo a toccare la basilica di San Giovanni in Laterano. Dalla torretta condominiale sovrastante, ci dicono, si riusciva a vedere, con giornate prive di foschia, persino il mare. Si “riusciva” perché è in atto un contenzioso legale per un presunto abuso edilizio commesso. Cioè sul terrazzo non è più possibile l’accesso a tutti. Ma questa è un’altra storia.

Meglio allora la tranquillità domestica della casa del professor Luca Turrisi. Bolognese di nascita, campobassano d’adozione, romano di residenza. Qui, in casa Turrisi, si respira musica in ogni angolo. Tra violini, spartiti, viole ed un violoncello che sembrano componenti di famiglia. Immersi in questa soave armonia viene spontanea una domanda: professor Turrisi, com’è iniziata la passione per la musica?
“Da bambino a Bologna, città natale, mio padre Giuseppe, funzionario di polizia, spesso mi portava al teatro comunale ad assistere a rappresentazioni liriche ed a qualche concerto sinfonico. Inutile dire che la mia attenzione era rivolta all’orchestra ed, in particolar modo, mi affascinava quel movimento coinvolgente degli archi sugli strumenti a corde. Decisi che mi sarebbe piaciuto fare quel “mestiere”. All’inizio degli anni quaranta ci trasferimmo a Campobasso che divenne la mia città d’adozione fino al 1970: anno in cui, a causa del mio lavoro, mi trasferii a Roma.
– Come ha influito la musica sulla sua vita?
“Per qualche anno il “progetto musica” dormì in fondo al solito cassetto. All’epoca la principale occupazione era, beh sì, la sopravvivenza. Avevo 14 anni quando il sacro fuoco della musica, tenuta a freno per alcuni anni, riaffiorò in me. Decisi, pertanto, di recarmi a Napoli al Conservatorio di San Pietro a Majella, all’epoca uno dei più importanti e qualificati in Europa. Ebbi la ventura di essere accolto fra gli allievi dell’illustre maestro Luigi D’Ambrosio alla cui scuola confluivano da tutta Italia e dall’estero. Terminati gli studi ebbi l’onore di essere stimato dal maestro tra i suoi “allievi più cari”. Iniziò così la mia carriera di insegnante nelle scuole medie e magistrali. Ma fare il “prof” nelle scuole non era contemplato nei miei progetti. Cominciava a germogliare in me l’idea di “creare” nel Molise un conservatorio di musica di Stato. Iniziai con un “liceo musicale” che finì solo con l’anno scolastico 1970/71 allorché, dopo tre lustri di paziente, solitario ed oscuro lavoro, riuscii ad ottenere, per il “mio Molise” il decreto ministeriale (ministro Misasi) che, finalmente, istituiva il Conservatorio di Stato di Campobasso intitolato in seguito, a Lorenzo Perosi per volere di un politico che mi fu vicino per l’atto finale. Sempre nel 1971 vinsi il concorso per violino di fila presso l’orchestra sinfonica dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Altro trasferimento, questa volta nella Capitale sia per l’attività orchestrale sia per mantenere la mia cattedra di violino e viola al Conservatorio di Santa Cecilia. Come componente dell’Accademia ero chiamato, con altri colleghi, per registrare colonne sonore di film, dischi di musica lirica, leggera, insomma la mia vita che fino a quel momento era circoscritta ad una tranquilla attività a livello familiare, si apprestava a cambiare radicalmente”.
– Grazie alla musica, ha potuto girare il mondo in lungo e largo. Quale località ricorda con piacere e perché?
“Si realizzava così il mio sogno cullato fin dall’infanzia: suonare in una grande orchestra grazie alla quale poter girare il mondo intero. Ho potuto suonare nelle sale e nei teatri più prestigiosi del pianeta sotto la direzione delle più famose “bacchette” del secolo scorso. Gli ultimi cinque anni di attività di orchestra li ho passati alla Sinfonica della Rai di Roma. Episodi e località potrei citarne a decine; mi piace comunque ricordare il ricevimento alla Corte Reale inglese dopo un concerto al Coven Garden con relativa visita privata di Buchingam Palace e, una sosta di una giornata a Rio de Janeiro in occasione di una tournèe in Sud America. Non ci sono parole per descrivere le emozioni”.
– Progetti per il futuro?
“Uno strumentista, anche quando è collocato a riposo per sopraggiunti limiti di età, difficilmente lascia lo strumento che gli ha creato tante emozioni: il fatto di essere in “pensione” non mi ha assolutamente distratto da quella che per una vita è stata la mia attività di esecutore e didatta. Attualmente con “Musikalia”, la mia associazione culturale, coadiuvato da altri volenterosi colleghi, ho formato un piccolo complesso strumentale “da camera” col quale riportiamo alla luce opere di autori che, essendo contemporanei dei cosiddetti “giganti della musica” (Bach, Beethoven, Bramhs, Schumann), sono stati per troppo tempo nel cassetto dei ricordi…”.

(Ida Santilli)

(per concessione di Forche Caudine)