Anche dall’Appio sempre più giovani verso Berlino

Berlino, città multietnica per eccellenza (oltre 500mila gli stranieri) è una delle mete preBerlinoferite dagli italiani. Soprattutto dai giovani. Affitti non esosi, numerose opportunità di lavoro, paghe dignitose e propensione all’innovazione. Da quando nel nostro Paese è esplosa la recessione, il numero dei nostri connazionali che cercano l’occasione della vita nella metropoli tedesca continua a crescere sensibilmente. E tanti partono anche da Roma, compresi i quartieri del VII Municipio.

Secondo i dati ufficiali nella città tedesca vivono circa 20mila italiani. La comunità italiana è al terzo posto dopo quelle bulgara e rumena. In realtà, però, il numero è ancora più consistente, considerati i tanti italiani che vivono a Berlino “in nero”, cioè senza registrarsi agli organi competenti, nonché gli oltre cinquemila di nuova generazione (figli di italiani).

Tra i tanti connazionali che risiedono in questa città molto trendy, ce ne sono due che hanno voluto raccontare in un film-documentario – che si chiama “La Deutsche Vita”, parafrasando la più celebre pellicola di Fellini – la vita degli italiani in Germania. Loro sono Alessandro Cassigoli e Tania Masi, due trentottenni fiorentini che dai banchi del liceo Gobetti di Ponte a Ema si sono ritrovati nella città tedesca, dove entrambi vivono da diversi anni.

“All’inizio gli italiani li evitavo, come si fa un po’ tutti quando si va a vivere all’estero – racconta Alessandro, regista di professione e collaboratore della tv francotedesca Arte, ad un giornale. “Dopo un po’ invece mi sono ritrovato a frequentarli e a condividerne i soliti pensieri e i soliti discorsi: i paragoni con la vita in Italia, le analisi sociologiche dei tedeschi, le dissertazioni sul cibo… così ho iniziato a filmare in modo informale queste chiacchierate”.

Esperienza da cui nasce il film. La storia parte dalla crisi d’identità che emerge puntualmente dopo qualche anno di residenza all’estero, quando si prende coscienza di essere immigrati. Così il protagonista intraprende un viaggio discontinuo, tragicomico, a tratti esilarante su una cinquecento scassata, alla ricerca di italiani per le strade di Berlino, con i quali confrontarsi sulle motivazioni di una fuga dal Belpaese, ma anche su dove comprare la pasta o i pomodori pelati nella città tedesca.

Ma niente reportage sociale, solo il ritmo vitale di una metropoli nel colorato immaginario di una eroica comunità italiana all’estero, sopravvissuta – come spiega la scheda del film – “ad anni di freddo, grigiore e caffè annacquato”. Immancabile il calcio, ma anche il sogno di celluloide o l’investimento nel mattone.

Finisce che gli stranieri, come sempre succede, riescono a leggere nel modo più approfondito segreti, splendori e decadenze, in una parola “lo spirito” di una città. Meglio di chi vi abita da sempre.

Nessun intento sociologico nel film, ma solo “la voglia di raccontare questi berlinesi d’adozione, persone spesso sradicate, che non sentono di appartenere completamente a nessuna realtà – come sottolinea Tania. Però non chiamateli “immigrati”: gli italiani di Berlino preferiscono definirsi “creativi in cerca dei giusti stimoli”.