OPINIONI / Una tassa occulta chiamata burocrazia

BuroIn un recente studio Confindustria ha esaminato il costo che ha la burocrazia per il nostro Paese: solo in Italia i tempi per aprire uno stabilimento sono superiori ai quattro anni. Ed in quanto ad oneri burocratici il World Ecomic Forum ci posiziona al 136° posto, davanti solo a Brasile e Venezuela.

Lo sappiamo ormai da anni, ma nessuno sembra voler risolvere seriamente la questione. Uno dei grandi problemi italiani, uno dei peggiori freni alla crescita economica e allo sviluppo dell’occupazione, ha un nome ben preciso: burocrazia.

La burocrazia è la grande malattia che colpisce l’Italia, una palude dalla quale nessuno ha la forza (o la volontà) politica di tirare fuori il Bel Paese.

Il centro studi di Confindustria-Assolombarda ha. appunto, pubblicato uno studio in cui si esamina l’impatto della burocrazia sull’economia italiana, con particolare attenzione ai dati relativi all’impatto sul fatturato dei costi amministrativi nell’ottica di un confronto internazionale con i principali competitors europei. Da tale studio si può amaramente notare come in Italia i costi amministrativi incidono per più del 5% del fatturato delle imprese, mentre altrove in Europa, stando al campione preso in esame, non hanno un impatto così elevato. Ma purtroppo vi sono dati ancora più preoccupanti. Oggetto dello studio sono stati anche i tempi necessari ad un’impresa per aprire uno stabilimento, fattore fondamentale nell’accrescere la competitività economica di un Paese ed attrarre investimenti. Anche sotto questo profilo purtroppo l’Italia primeggia in senso negativo poiché i tempi medi necessari all’apertura di nuovi stabilimenti superano i quattro anni.

Da anni inoltre il World Ecomic Forum valuta annualmente la competitività globale e tra gli indicatori vi è l’onere della regolamentazione. Nel rapporto 2016-17, per questo indicatore, l’Italia si è posizionata al 136° posto in classifica su 138. Peggio di noi solo Brasile e Venezuela.

Si tratta dunque di un vera e propria impasse da cui non si riesce a venir fuori. Lo dimostrano anche i dati della World Bank sulla qualità della governance, che segnala un gap di oltre 10 punti rispetto ai paesi Ocse. Durante il periodo 2013-2017 nessun provvedimento politico ha avuto grandi effetti nel migliorare la situazione. Anzi col passare degli anni la differenza si è allargata, poiché nel 2013 questo scarto era del 10% mentre nel 2015 è aumentato fino al 13%.

Si tratta dunque di una questione di rilevanza sia economica che politica. Il problema economico è sotto gli occhi di tutti: difficoltà nell’iniziativa d’impresa ed impossibilità di attrarre investimenti. Il problema politico invece è che i governi a guida Pd degli ultimi anni non hanno dimostrato la forza e la volontà di riformare il sistema sotto questo profilo.

Nel suo complesso la burocrazia costa alle Pmi italiane 30 miliardi di euro l’anno, pari a quasi il 2% del Pil: rendendo l’apparato statale più efficiente attraverso un’opera di semplificazioni, le imprese potrebbero arrivare a risparmiare fino al 25% di questa cifra, vale a dire 7 miliardi e mezzo di euro, in base ai dati del rapporto presentato da rete Imprese Italia.

Per quanto attiene invece al tempo necessario per assolvere agli oneri burocratici in Italia ogni anno le imprese impiegano per la burocrazia 269 ore, ovvero 34 giornate di un lavoratore a tempo pieno, il 52% in più della media dei paesi Ocse che è invece pari a 22 giornate. È indubbio quindi che le due aree su cui dovrebbero concentrarsi maggiormente le semplificazioni sono lavoro e
fisco.

Se venisse posta in essere un’opera di semplificazione efficace, nel giro di quattro anni si produrrebbe un aumento degli investimenti e scenderebbe la disoccupazione. Il Pil inoltre aumenterebbe di un punto. La metà di questi effetti sarebbe di natura permanente, traducendosi in uno strutturale aumento della competitività del nostro Paese.

Da questo quadro emerge quindi come vi sia una sorta di tassa occulta nei conti delle Pmi italiane, che si chiama burocrazia e costa circa 2 euro l’ora. Il costo della burocrazia fiscale per le Pmi è stimato in 22 miliardi di euro annui dal Centro Studi Cnc, che significa 5 mila euro l’anno a impresa, 16 euro al giorno. Sotto questo profilo l’Italia detiene il record negativo nell’Ue.

Il “mostro” della burocrazia negli ultimi dieci anni ha già “divorato” 100 mila imprese agricole, costrette a chiudere per il peso opprimente dei tremendi costi e della farraginosità dei rapporti con la pubblica amministrazione. Si tratta di un dazio che all’agricoltura costa oltre 7 miliardi l’anno: per la singola azienda equivale a due euro per ogni ora di lavoro, 20 euro al giorno, 600 euro al mese, 7.200 euro l’anno. Un “carico” asfissiante che costringe ogni imprenditore agricolo a produrre ogni anno una quantità di materiale burocratico cartaceo che, messo in fila, supera i quattro chilometri e ha un peso che sfiora i 25 chili. A ciò si aggiunga che occorrono otto giorni al mese per riempire i documenti richiesti dalla pubblica amministrazione centrale e locale. Dati impressionati, frutto di un’indagine presentata dalla Confederazione italiana agricoltori.

Asfissiate da questo “peso” il 25,5% delle aziende agricole è stata costretta a mettere da parte progetti di ammodernamento, innovazione e ricerca, mentre il 21,5% non ha compiuto alcun tipo di investimento, il 18,7% è stato costretto a ridurre le coltivazioni e il 10% a cessare definitivamente l’attività.

Anche l’Unione europea ha sottolineato come la riduzione degli adempimenti burocratici è un fattore essenziale per promuovere la creazione di posti di lavoro.

In Italia, come la classifica sulla facilità di fare impresa redatta ogni anno dalla Banca mondiale testimonia ampiamente, l’eccessiva burocrazia rappresenta un limite per le imprese, costrette a fare i conti con regole complesse e numerose, con tempi di risposta lunghi e costi consistenti. In particolare, tre sono gli aspetti chiave: la complessità dei procedimenti; la sovrapposizione delle norme unita alla discrezionalità della loro applicazione; la lunghezza dei tempi autorizzativi.

I dati del primo osservatorio sulla Semplificazione di Assolombarda, che ha quantificato l’impatto delle pratiche e degli adempimenti burocratici più gravosi per l’attività d’impresa, certifica che il costo della burocrazia può variare dai 108.000 euro annui nel caso delle imprese di piccole dimensioni ai circa 710.000 euro nel caso di un’azienda media.

Da questo quadro emerge la necessità di una regolamentazione intelligente, sensata e di qualità, ma la sinistra in questi anni non ha adottato misure concrete in tal senso. Dovrà essere allora il centrodestra, se vuole vincere le prossime elezioni e cambiare l’Italia, a prevedere nel suo programma di governo tra le priorità una riforma della burocrazia fortemente incentrata sulla semplificazione, volta ad eliminare norme inutili, ad evitare sovrapposizioni tra i vari livelli burocratici attuando il principio della sussidiarietà, una riforma che preveda uno spazio più ampio per le autocertificazioni e riduca i costi amministrativi per famiglie e imprese. Una pubblica amministrazione quindi non più vessatoria ma al servizio dei cittadini, in modo da favorire
più occupazione e più crescita.

È necessario quindi districare il groviglio legislativo con cui sono quotidianamente costretti a confrontarsi cittadini ed imprese, eliminando le sovrapposizioni delle normative, favorendo per
quanto possibile l’istituzione di codici e testi unici che regolamentano le singole materie, ed attuando una concreta opera di delegificazione per mezzo dei regolamenti delegati. A ciò deve accompagnarsi una significativa riduzione dei costi amministrativi e della gravosità dei procedimenti connessi, favorendo dunque un sistema basato su autocertificazioni in sostituzione di molte autorizzazioni, prevedendo controlli a posteriori.

Solo così sarà possibile ottenere una semplificazione delle procedure, eliminando quei lacci e lacciuoli che attualmente sono previsti, in modo da facilitare coloro che vogliono fare impresa e le famiglie nell’adempimento dei loro doveri di cittadini.

(Paolo Bartolozzi, europarlamentare)