OPINIONI / Il “caso Feltri”

E’ stata davvero infelice l’uscita di un giornalista d’esperienza come Vittorio Feltri, allievo di Montanelli (che si rigirerà nella tomba) sui meridionali apostrofati come “inferiori” nel corso del programma “Fuori dal coro” su Retequattro. Scontate le sdegnate prese di posizione di tanti esponenti dei mondi della politica (su tutti il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris), della cultura, del giornalismo (da Scanzi a Ruotolo). Molte edicole si rifiutano ora di vendere “Libero”, altre i libri del giornalista bergamasco. Non manca, tuttavia, qualche voce solitaria che è corsa in suo soccorso, come Cruciani o Sallusti non ritenendo giusta la censura. Del resto le fila dei “provocatori” in Italia sono sempre molto robuste.

Ovviamente l’uscita, indisponente, di Feltri va totalmente condannata e rispedita al mittente. Di certo è in linea con certe esternazioni di un vero e proprio “personaggio” che accumula anni nella sua carta d’identità, invitato spesso in trasmissioni in cerca di facili ascolti proprio per queste uscite particolarmente ruvide e “rumorose”. La questione centrale, però, è che le uscite di Feltri sui meridionali, o perlomeno su “certi meridionali”, rientrano in un clima di contrapposizioni geografiche sempre più marcate, che amaramente caratterizzano anche i nostri tempi.

In fondo ricordargli le virtù di noi meridionali appare un esercizio di pura retorica. In questi giorni di esperti di scienza protagonisti sulle reti televisive, colpisce come tanti di quelli che sono in prima linea nelle università straniere siano nati o abbiamo origini nel nostro Mezzogiorno. Lo pneumologo che ha curato Boris Johnson, Luigi Camporota, è nato a Catanzaro. Il ricercatore che sta lavorando al vaccino per il Covid-19 all’Università di Pittsburg, Andrea Gambotto, è barese. Il consulente di Trump, il virologo Anthony Fauci, ha origini siciliane. E così via.

Stupisce, inoltre, che proprio Vittorio Feltri, le cui estati da adolescente ha trascorso da uno zio a Guardialfiera, in Molise, si renda protagonista di queste esternazioni molto discutibili.

Il nodo centrale, però, è che le “diversità” geografiche (e di “razza”, brutta parola che evoca tristissime leggi del 1937) continuino a caratterizzare i nostri tempi ad ogni latitudine. Come le dilanianti contrapposizioni tra Europa del Nord e del Sud, tra i Paesi più ricchi e rigorosi e quelli meno virtuosi e più edonisti. Contrasti che finiscono per inficiare i valori originari dell’idea comunitaria, sinceramente professati da Adenauer, Bech, De Gasperi, Konrad, Monnet, Schuman, Spaak, Spinelli, intellettuali che ormai appaiono lontani anni luce da certi esponenti della politica attuale. Le lacerazioni, lontane dal senso di collaborazione, di coesione, di solidarietà, di comprensione, rischiano di far deflagrare politicamente e socialmente il nostro vecchio continente, specie in questa fase drammatica di emergenza sanitaria, dove servirebbe proprio un’aderenza e tanta compattezza, perché solo uniti si vince.

Tornando in Italia, purtroppo, le cose vanno anche peggio. Il clima da perenne campagna elettorale, una realtà quotidiana da vendette incrociate, il desiderio di protagonismo che si unisce alla voglia di andare ognuno per conto suo (anche in tema di provvedimenti) sta determinando una situazione sempre più preoccupante a tutti i livelli.

La polemica, gravissima, alimentata dalle parole di Feltri nasce, in realtà, da vecchi pregiudizi duri a scomparire e si alimenta oggi, paradossalmente, per l’ineguale distribuzione dei contagi da coronavirus.

Ad esempio, alcuni governatori del Sud – pensiamo al combattivo De Luca – vorrebbero “blindare” le proprie regioni per evitare quel maggior tasso di contagiosità apportato dai settentrionali. In fondo sembra quasi che il destino, una volta tanto, abbia risparmiato in un’enorme disgrazia il “povero” Sud rispetto al “ricco” Nord, che benché tradizionalmente più organizzato, stavolta ha fatto emergere tanti errori di gestione e ha pagato un drammatico prezzo nel numero di vittime.

Il Nord (in particolare la Lombardia), da parte sua, sta soffrendo anche di questo “clima da processo perenne” alimentato principalmente da stampa e procure, ad esempio con le inchieste nelle case di riposo e negli ospedali. Sembra quasi che il subalterno Mezzogiorno si stia prendendo una sorta di rivincita “salutare” contro un Nord da decenni insofferente per il Sud percepito come zavorra, concetto rafforzato dalla distribuzione del reddito di cittadinanza ed oggi dal sentirsi sotto rappresentato in questo governo.

Tutto ciò, nel nuovo millennio, appare davvero paradossale. Mentre su un Paese (intero) già malato si accentuano i problemi determinati dall’emergenza sanitaria, il clima di contrapposizione può solo accentuare i drammi, rendendo tutti più fragili. 

Crediamo che sia ora di oltrepassare questa concezione di “nemico” a tutti i costi, questa saga di pregiudizi, questa ricerca spasmotica di consensi, per concentrarsi invece sulla voglia di ripartire con il piede giusto, sul desiderio di una vera e propria “ricostruzione” basata su valori puri, con quel po’ di ottimismo necessario per non finire definitivamente nel baratro. E’ l’ora di ignorare i tanti “Feltri” televisivi (e chi dà loro spazio), restituendo campo al buonsenso.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)