Nuova legge dell’editoria: qualche luce e tante ombre

giornali-stampaDunque, con 275 voti a favore e 80 i contrari, la Camera ha approvato in via definitiva il decreto di riforma del settore dell’editoria. Contrari sono stati i Cinquestelle e Forza Italia, astenuti Lega e Fratelli d’Italia.

La riforma conferma il contributo pubblico ai giornali e istituisce il “Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione” destinato al sostegno economico dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale. Prevede, inoltre, l’erogazione di un contributo per il sostegno delle spese sostenute per l’utilizzo di servizi di telefonia e di connessione dati (in sostituzione delle attuali riduzioni tariffarie) e modifica i requisiti per la concessione dei contributi, pur lasciando il finanziamento, motivo primario per il quale c’è stata l’opposizione dei Cinquestelle, da sempre contrari al finanziamento pubblico dell’editoria.

In effetti, considerato il periodo di tagli, a molti cittadini – specie a quelli che non comprano quotidiani – questi corposi finanziamenti lasciano l’amaro in bocca. Considerata soprattutto la qualità della stampa italiana, in gran parte asservita ai poteri cosiddetti “forti” e alla politica. Non a caso alcuni giornali, come “Il Fatto quotidiano”, rivendicano (con orgoglio) sin dalla testata la condizione di non ricevere contributi pubblici, cioè di essere premiati unicamente dai lettori e dal mercato.

Proprio per ammorbidire certi eccessi verificatisi in passato, quando sono stati finanziati giornali scarsamente diffusi (e quindi apprezzati) dal pubblico, compresi giornalini religiosi e quotidiani dei partiti, ora l’ammontare del contributo pubblico dipenderà dal numero di copie annue effettivamente vendute e dagli utenti unici raggiunti (per l’on-line), oltre che dal numero di giornalisti assunti.

L’ammontare del contributo, infatti, dipenderà dal numero di copie annue vendute (che non può essere inferiore al 30% delle copie distribuite per le testate locali e al 20% per quelle nazionali).

Sono previsti criteri “premiali” per le aziende che assumono a tempo indeterminato gli under 35 e vengono fissati limiti massimi al contributo erogabile (50% del totale dei ricavi dell’impresa)..

Restano i contributi anche per tv locali, cooperative giornalistiche, enti senza fini di lucro, per chi edita giornali italiani diffusi all’estero, o espressione delle minoranze linguistiche, o periodici per non vedenti e ipovedenti, ma anche editi da associazioni dei consumatori. E anche su questo fronte non mancano le polemiche.

Sono stati invece eliminati i finanziamenti agli organi di informazione di partiti o movimenti politici e sindacali, anche perché molti sono del tutto scomparsi, specie nell’edizione cartacea.

La nuova legge disciplina anche alcuni aspetti alla professione giornalistica, sulla previdenza e sulla concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale che avrà una durata di 10 anni. Il Consiglio nazionale dell’Ordine è stato ridotto a 60 membri (40 professionisti e 20 pubblicisti), organo più volte al centro di tentativi di abolizione. Giancarlo Ghirra a nome di “Liberiamo l’informazione”, plaude al provvedimento: “Ci sono voluti oltre dieci anni, ma alla fine il Parlamento ha approvato il primo passo della riforma del Consiglio nazionale dei giornalisti, riducendo a 62 (contro gli attuali 156) i componenti dell’assemblea e del Consiglio nazionale di disciplina. E’ un risultato che pone le premesse per una riforma della professione giornalistica indispensabile se si pensa ai mutamenti rivoluzionari e drammatici degli ultimi decenni. La legge istitutiva del 1963 parlava al mondo delle linotype e del monopolio del servizio radiotelevisivo, oggi viviamo l’era dei social e del mutamento del modo di informare che a livello non solo italiano, ma planetario, pone problemi inediti a chi per professione fa il giornalista. Abbiamo il dovere di ricomporre la frattura fra generazioni, lavorando per un’occupazione virtuosa, centrata sui diritti di chi lavora e di chi (il cittadino) pretende un’informazione corretta e libera”.

Il decreto, inoltre, conferma il tetto (sacrosanto) di 240mila euro annui per dipendenti, collaboratori e consulenti Rai.

Infine la legge delega il governo ad emanare decreti per la liberalizzazione degli orari e dei punti vendita dei giornali, oltre a incentivare gli investimenti nell’innovazione digitale e ad assegnare finanziamenti a progetti innovativi.

Il testo delega il governo a ridefinire l’intera disciplina, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, partendo dalla platea dei beneficiari.

Infine il governo dovrà semplificare l’erogazione dei contributi, che avverrà in due rate (la prima entro il 30 maggio, pari al 50%). Il testo disciplina, inoltre, tempi e modalità di presentazione delle domande e stabilisce i requisiti per la testata online (deve essere regolarmente registrata presso una cancelleria di tribunale, avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine, produrre principalmente informazione con aggiornamento quotidiano, non essere una mera trasposizione telematica di una testata cartacea né un mero aggregatore di notizie).

L’onorevole Marco Di Maio, che ha lavorato con i colleghi per l’approvazione della legge, commenta così l’esito del proprio impegno: “Con l’approvazione della legge sull’editoria il mondo dell’informazione on-line raggiunge un risultato storico: il riconoscimento giuridico del quotidiano on-line, fino a oggi inesistente nel nostro ordinamento. Un risultato che consentirà in futuro di utilizzare tale definizione per interventi mirati e per una disciplina più puntuale a sostegno e a tutela di questo settore. L’informazione on-line è ormai un pilastro imprescindibile del pluralismo e un’abitudine insostituibile per milioni di italiani, che finalmente trova pieno e giusto riconoscimento giuridico”.

Tutto bene. Ma si spera che questo decreto non inneschi l’ennesima pioggia di soldi. Senza dimenticare che del finanziamento ad alcuni editori s’è dovuta interessare, in passato, persino la magistratura.