Non ci sarebbe così tanta fretta di risolvere il caso se non fosse per il fatto che poco tempo dopo i cadaveri diventano quattro, tra cui quello di un famoso boss, trovato su un treno, protagonista della guerra tra le famiglie Sangregorio e i Vartolo-Carnovale che ha infiammato le terre calabresi fino a un anno prima. Sul treno che incrocia quello “maledetto” del boss, viaggiano il signor Tommaso Campanella, un anziano che ha poco da perdere e molto da raccontare e ascoltare, e il dottor Rocco Sabinis, un rosicoltore con una missione delicata. A mettere sul giusto binario Iarìa e la sua squadra è la soffiata: “Capsule gialle e blu…”, forse in possesso del boss ucciso o tra le mani di gente che ha ben pochi scrupoli a servirsene per i propri progetti folli…
Un romanzo dal ritmo incalzante che tiene sulle spine (nel senso più letterale del termine) e che, pagina dopo pagina, fa affezionare ad una protagonista totalmente fuori dalle convenzioni.
Antonino Fontana, reggino, architetto prima a Milano e poi a Vienna, presto ha abbandonato l’attività per dedicarsi alla propria libera ricerca artistica sulla natura e le sue rappresentazioni.
Unus vestrum me traditurus est (Umberto Alle-mandi & C., Torino, 1999) è uno dei risultati del linguaggio cognitivo universale di quel “periodo ermeneutico”. Ha vissuto in cento luoghi diversi, reali e letterari, negli ultimi anni è tornato a vivere a Reggio Calabria e oltre a scrivere si è specializzato nella progettazione di costruzioni d’acciaio.
Cane crudo (Robin Edizioni, Torino, 2015) è il suo romanzo d’esordio.
Da un anno vive e lavora a Roma.
Il libro è acquistabile in formato e-Book dal 29 giugno u.s. e cartaceo in libreria a partire da settembre.
(Lastarìa Edizioni, pp. 267 – 16,50)