La fine di Pamela non è solo un fatto di cronaca

Pamela1I funerali di Pamela Mastropietro, la ragazza romana barbaramente uccisa nelle Marche ed il cui corpo è stato atrocemente martoriato, non possono essere rubricati a mero fatto di cronaca. La grande folla che nella chiesa di Ognissanti a Roma, lungo via Appia Nuova, ha voluto rendere omaggio alla diciottenne dimostra come questo bestiale omicidio abbia notevolmente scosso l’opinione pubblica, fino ad assumere vere e proprio connotati “sociali” che accendono amare riflessioni.

Occorre, per prima cosa, eludere le contrapposte strumentalizzazioni messe in atto da alcuni settori dell’opinione pubblica nel contrasto tra la bella ragazza italiana e il boia presumibilmente nero e straniero. O che, al contrario, evidenziano la cattiva strada intrapresa dalla giovane tra pessime compagnie e uso di stupefacenti, quasi un preludio alla sua fine. Due letture davvero semplicistiche e di basso profilo.

Ben diverso è interrogarsi su ciò che ha più colpito l’opinione pubblica, cioè l’efferatezza dell’esecuzione, le macabre pratiche messe in atto dai carnefici, la violenza sessuale, il vilipendio del cadavere (addirittura in un’intercettazione emerge che sarebbe dovuto essere mangiato), il contesto ambientale, il contrasto tra l’innocenza di una ragazzina finita in cattive compagnie e il terribile branco dei suoi presunti assassini. I personaggi che emergono in questi casi confermano soprattutto la sconfitta delle nostre istituzioni: si tratta spesso di nomi già noti alle forze dell’ordine, talvolta con una ragguardevole mole di precedenti penali che però non è servita per allontanare dalla società civile dei criminali incalliti. Ecco, l’aspetto che più pesa – e ritorna spesso in casi del genere – è l’incertezza della pena, fenomeno che consente a protagonisti del genere di continuare a delinquere impunemente. Al di là del fatto che siano cittadini stranieri o italiani.

Innocent Oseghale, Lucky Desmond e Lucky Awelima, gli arrestati a Macerata lo scorso gennaio per l’omicidio, il vilipendio e l’occultamento di cadavere, fanno inoltre parte di quella migrazione fuori controllo anche quando dovrebbe essere controllata. Quella che serve soprattutto ad alimentare il business della cosiddetta accoglienza a beneficio principalmente di alcune cooperative che ricevono parte di quei cinque miliardi di euro che lo Stato italiano spende ogni anno per questo “mercato” degli esseri umani. Il “profugo” Awelima, uno degli accusati, alloggiava in un albergo a 4 stelle, l’hotel Recina, tra Macerata e Montecassiano. Ovviamente a spese dello Stato italiano, cioè nostre.

Non regge più l’accusa di “razzismo” – mossa da chi cerca di perpetuare il business – nei confronti di chi chiede politiche selettive serie. Forse sarebbe più intelligente chiedersi quanti altri soggetti tipo i carnefici di Pamela siano ancora a piede libero e pronti ad analoghe spietate azioni.

(Domenico Mamone, presidente dell’Unsic)