Gli alunni del liceo “Russell” svelano Galileo

galileo-3Meritoria iniziativa al liceo “Russell” di via Tuscolana su Galileo Galilei. Una ricerca e una mostra per approfondire la conoscenza del grande scienziato pisano. Ecco il lavoro, con l’introduzione e le conclusioni a cura di: Anita Biagini, Patrizia Plini, Paola Santucci

In questo lavoro viene descritta la progettazione e la realizzazione di un museo articolato intorno alla figura di Galileo, allestito presso il Liceo Russell di Roma da un gruppo di docenti del Liceo Russell, coordinati dalla prof.ssa  P. Santucci.

 

Introduzione. Nello scorso anno scolastico, il Liceo B. Russell di Roma, ha inserito nel suo Piano Triennale dell’Offerta Formativa un percorso di divulgazione scientifica per gli alunni.
Il  progetto nasce da un’idea del prof. Ghione dell’Università Tor Vergata, e in maniera diversa era già stato realizzato nel precedente anno scolastico; l’anno scorso esso si è realizzato nella creazione di un percorso espositivo sulla figura di Galileo Galilei.
Un gruppo di alunni del liceo, guidati dai loro insegnanti, ha approfondito alcune delle idee dello scienziato e ha realizzato gli strumenti che illustrano tali idee.
Gli strumenti sono stati oggetto di un evento espositivo tenuto presso il Liceo nella prima settimana di febbraio.
L’esposizione è stata interamente guidata dagli alunni del Liceo, in un’ottica di sviluppo di autonomia nella costruzione del proprio sapere e di competenze comunicative nell’ambito della divulgazione scientifica.
Il Museo Galilei di Firenze ha gentilmente messo a disposizione per l’evento espositivo alcune copie di strumenti conservati nel Museo, oltreché la competenza tecnico scientifica del responsabile delle attività didattico-educative del Museo, dr. Andrea Gori.
Inoltre la mostra ha avuto il piacere di ospitare un prezioso esemplare settecentesco in avorio del compasso di Galileo, appartenente alla collezione Salmeri, messo a disposizione dalla generosità dell’editore di questa rivista.

Circa cinquanta classi di scuole del territorio, primarie, di primo e di secondo grado, hanno visitato la mostra.
L’afflusso di spettatori è stato intorno alle 1.500 persone.
Alcune scuole, dopo la visita, hanno messo nel proprio sito un report della mostra.
Il progetto ha coinvolto 95 alunni del Liceo e 11 docenti di discipline scientifiche e storiche, oltre al personale tecnico e ai collaboratori scolastici.

Dal punto di vista didattico questa esperienza si è rivelata uno strumento di apprendimento non formale significativo per gli alunni, che hanno potuto sperimentare un modo diverso di imparare i principi e i concetti scientifici che regolano i fenomeni naturali presi in considerazione.

A conclusione del progetto è stato somministrato agli alunni un questionario di gradimento, in cui è risultato che questa esperienza è stata generalmente vissuta come un’esperienza di apprendimento divertente, soddisfacente e da ripetere.

Secondo chi scrive, inoltre, in un mondo tecnologicamente evoluto come quello in cui viviamo, ciò che si studia nei banchi di scuola risulta spesso per gli alunni del tutto scollato dagli strumenti che usano nella loro quotidianità.
Ci è sembrato quindi importante colmare questo distacco, producendo esempi di macchinari che, benché relativi ad un’altra epoca, rappresentino comunque applicazioni tecnologiche di concetti scientifici, in un contesto di idee che risulta facilmente comprensibile per lo studente, poiché supportato dalla didattica curriculare.

Infine, in un’epoca in cui gli indirizzi europei e ministeriali sottolineano l’importanza delle competenze e spingono verso una didattica per problemi contestualizzati, ci sembra che gli esempi più belli e più naturali di problemi di questo tipo vengano forniti proprio dalla storia dello sviluppo del pensiero scientifico, quando lo scienziato, in possesso di un bagaglio concettuale spesso inferiore a quello che dovrebbe essere posseduto da un nostro studente del liceo, realizzava macchinari a servizio del progresso e dello sviluppo tecnologico.

Anche in questa esperienza abbiamo ritrovato la ricchezza pedagogica, didattica e motivazionale rilevata già con lo scorso anno scolastico con il Museo Itinerante su Archimede. Per non ripeterci in questa sede rimandiamo il lettore alla relativa pubblicazione.

I problemi indagati dagli alunni per l’evento espositivo sono stati: il problema della caduta dei gravi, il problema della curva descritta dal lancio di un proiettile e di altre curve studiate dallo scienziato, la misura del tempo, la termoscopia e la discussione intorno al sistema celeste. Inoltre alcune piccole scene di drammatizzazione teatrale hanno accompagnato il percorso espositivo.

L’esposizione è stata suddivisa su più sale:

– La sala “storica” che illustrava il contesto storico e culturale in cui ha vissuto lo scienziato;

– La sala “Galileo Fisico” in cui era possibile indagare il problema della caduta dei gravi;

– La sala “Galileo Matematico” in cui si esploravano vari tipi di curve matematiche che sono state oggetto degli studi di Galileo;

– La sala “Galileo Astronomo”, in cui si affrontava la discussione galileiana intorno al sistema celeste;

– angolo dedicato alla termoscopia;

– angolo dedicato alla misura del tempo.

Le descrizioni degli exhibit sono state elaborate dagli studenti.

 

Sala Storica

(A cura di Alessio Petrucci, Sara Salzano e Beatrice Saporito della classe 3 S, di Asia Di Paolo e Martina Maturo della classe 4 I e di Lorenzo Bossoli, Sara Candido e Michele Iandoli della classe 5 R, coordinati dalla prof.ssa M.A.Cimarelli)

 

[…] nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio […].

(Galileo Galilei, Lettera indirizzata a Cristina di Lorena granduchessa di Toscana)

 

“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non si impara intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. È scritto in lingua matematica, i caratteri son triangolari, cerchi, in altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi venamente per un oscuro laberinto.”

(Galileo Galilei Il Saggiatore)

 

Galileo Galilei nacque nel 1564 a Pisa e visse intensamente gli entusiasmi scientifici del Rinascimento, contribuendo più di ogni altro alla nascita della scienza moderna. L’aspetto più rivoluzionario del suo pensiero fu l’adesione all’astronomia copernichiana. Grazie all’utilizzo del cannocchiale, un nuovo strumento che si fece inviare dall’Olanda ma di cui modificò le lenti, Galileo riuscì a compiere alcune fondamentali scoperte che, mentre segnavano la definitiva caduta del modello fisico di Aristotele, favorivano la dimostrazione della teoria di Copernico (De revolutionibus orbium coelestium del 1543)

Gli  esiti  del  complesso  processo  di  demolizione dell’universo geocentrico (aristotelico‐tolemaico) e di edificazione del nuovo sistema eliocentrico (Copernico), che lui presentò nel 1609 nell’opera in latino Sidereus Niuncius, possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

– La terra non é né immobile né al centro dell’universo

– Non esiste la distinzione di origine aristotelica tra fisica celeste e una fisica terrestre

– L’universo non è chiuso da stelle fisse ma ha i caratteri dell’infinito

L’adesione al copernicanesimo costò a Galileo un duro conflitto con le autorità della Chiesa, che lo ammonirono più volte. Galileo non modificò il suo atteggiamento, anzi fu stimolato ad approfondire i rapporti tra scienza e fede. Per lui tra ragione e rivelazione non c’era conflitto ma separazione di competenze, in quanto riguardavano due sfere differenti: l’interpretazione della Natura, la prima; l’interpretazione delle Scritture, la seconda.

Alla base del pensiero galileiano c’era quindi una dura critica al principio di autorità, ossia all’abitudine di richiamarsi alla tradizione aristotelica, ai suoi principi e a tutti quelli che in modo ceco non volevano guardare in avanti, cioè al variare ed al crescere della scienza: prima fra tutti la Chiesa.

Egli sosteneva che la Natura poteva essere studiata soltanto attraverso l’utilizzo della scienza, basata su leggi rigorosamente matematiche. Queste leggi sono il risultato finale del metodo sperimentale che egli, inconsapevolmente, utilizzava per conferire veridicità alle sue ipotesi. Si rese conto che una semplice intuizione non era sufficiente, ma sarebbero state necessarie delle prove per sostenerla (sensate esperienze e necessarie dimostrazioni).

Il metodo sperimentale consisteva nel:

– osservare un fenomeno

– formulare un’ipotesi

– condurre un esperimento

– elaborare una legge matematica

Nel 1632 Galileo pubblicò “Dialogo sui due massimi sistemi del mondo” un’opera scritta in volgare dove esponeva le sue teorie sulla terra, i pianeti ed il moto di questi.

La discussione era fra Simplicio, un uomo semplice che rappresentava la mentalità chiusa e conservatrice della Chiesa, Salviati che sosteneva le idee di Galileo stesso e Sagredo che faceva da arbitro. L’opera ebbe molto successo e proprio grazie all’uso del volgare le idee di Galileo si diffusero per le strade e nelle piazze e addirittura i cantastorie ne discorrevano tra la folla durante le manifastazioni del carnevale.

L’anno dopo, nel 1633, Galileo fu però processato e condannato all’abiura dalla Chiesa. Egli accettò di rinnegare le proprie teorie temendo di incorrere nella stessa sorte di Giordano Bruno, bruciato al rogo, anche lui in contrapposizione con le autorità ecclesiastiche. Nonostante la condanna Galileo continuò comunque, fino alla fine dei suoi giorni a dedicarsi ad i suoi studi.

Morì nel 1642 nella sua casa di Arcetri accudito da un suo fedele discepolo.

Solo nel 1992 il papa Giovanni Paolo II ha ufficialmente riabilitato la figura dello scienziato, ammettendo pubblicamente il grande errore della Chiesa.

 

Sala Galileo Fisico

BRACHISTOCRONA

(a cura di Tommaso Bartolini, Lara Bianchi, Alessia Mennella e Francesco Moretto classe 1 G, di Daniele Natale e Paterna Miriam della classe 4 M e di Leonardo Federici e Simone Santini della classe 3 H, coordinati dai proff. G. Drago, M. Romeo e G. Pasqua)

 

Etimologia

Il termine “Brachistocrona” deriva dal greco: bráchistos, superlativo di brachýs, “breve”, e chrónos, “tempo“. Letteralmente vuol dire “curva del tempo più corto”.

Il problema della Brachistocrona

Uno dei problemi più celebri del calcolo delle variazioni è proprio quello della Brachistocrona, che si pone lo scopo di determinare tra tutte le curve regolari che congiungono due punti dati A e B, con il punto A posto a una quota superiore rispetto a B, quella lungo la quale un grave, ovvero un corpo soggetto unicamente alla forza di gravità, in una situazione priva di attrito, potrebbe discendere nel più breve tempo possibile.

Galileo e la Brachistocrona

L’origine di quello che poi diventerà lo studio della Brachistocrona in sé viene attribuita a Galileo e risale al 29 novembre 1602, data nella quale comunicò a Guidobaldo del Monte, suo amico matematico, il principio fisico. E’ soltanto nel 1638 che troviamo la prima formulazione vera e propria di una soluzione, sempre da parte di Galileo, che nei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” propone come soluzione proprio l’arco di circonferenza.

TEOREMA 22. PROPOSIZIONE 36

Se in un cerchio, eretto sull’orizzonte, dal suo punto più basso si innalza un piano inclinato, il quale sottenda un arco non maggiore di un quadrante, e se dagli estremi di tale piano si conducono due altri piani inclinati a un qualsiasi punto dell’arco, la discesa lungo [il sistema di] questi due ultimi piani inclinati si compirà in minor tempo che lungo il solo primo piano inclinato, o che lungo uno soltanto di questi due ultimi piani, e precisamente l’inferiore.

L’errore di Galileo

Galileo commise però un errore: non si rese conto che la soluzione al problema della brachistocrona non era un arco di circonferenza ma un arco di cicloide. Tale dimostrazione sarà data solo nel 1697 dal matematico Jacques Johann Bernoulli.

La cicloide

La cicloide è la curva tracciata da un punto fisso posto su una circonferenza che rotola, senza strisciare, su un piano.

CicloideLo strumento realizzato si compone di un telaio di legno recante un canale circolare. Sul telaio è presente anche un canale rettilineo, la cui inclinazione può essere regolata. Lasciando cadere due  sferette  simultaneamente lungo i due canali, si osserva che la sferetta lungo l’arco di circonferenza  anticipa  nettamente quella lungo il piano inclinato.

 

MASSE

(a cura di Cristiano Meli e Andrea Meta della classe 5 F e di Giulia Sibio e Lucrezia Voltarella della classe 5 P, coordinati dalla prof.ssa P. Santucci)

Galileo Galilei e i suoi studi sulla caduta dei gravi

Se lasciassimo cadere due oggetti di massa diversa da una stessa altezza contemporaneamente, essi arriverebbero a terra nello stesso istante? La risposta può sembrarci banale. Infatti a tutti noi l’arrivo contemporaneo a terra di un sassetto e di un macigno (di massa molto più grande dell’altro oggetto) lasciati cadere allo stesso momento dall’alto , sembrerebbe a prima vista una sciocchezza o meglio, una cosa contraria all’esperienza quotidiana di ognuno di noi. L’esperienza quotidiana sembra mostrarci infatti che, per mantenere un corpo in moto con velocità costante, sia necessario applicare una forza tanto maggiore quanto maggiore la massa del corpo da spostare. Secondo Aristotele (384 a.C‐322 a.C) quando i corpi vengono lasciati cadere i più pesanti arrivano a terra prima dei corpi più leggeri.

Così si credeva nel 1500, ai tempi di Galileo. Galileo Galilei fu il primo a contestare Aristotele sia teoricamente che sperimentalmente. Erano passati più di 1800 anni… Era il 1638 quando Galileo era ormai agli arresti nella sua casa ad Arcetri per ordine del Papa, e pubblicava in Olanda il suo trattato “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali” dove appare per la prima volta l’enunciato dell’ “Universalità della caduta libera”(Giornata Prima-Tomo Terzo Volume 3 dei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali”) che riprende il suo lavoro di molti anni prima: “…veduto, dico, questo cascai in opinione che se si levasse totalmente la resistenza del mezzo tutte le sostanze descenderebbero con eguali velocità”.

Si narra, ma probabilmente è solo una leggenda, che Galileo confermò questa idea grazie ad un suo famoso ed importante esperimento: la caduta di due gravi di massa diversa dalla torre di Pisa.

La grande intuizione di Galileo fu quella di capire che, se abbandoniamo due corpi da una determinata altezza, essi cadono soggetti non solo alla gravità ma anche all’attrito dell’aria.

Quando siamo in presenza di un ‘mezzo’ attraverso il quale i corpi si muovono, entrano in gioco altre forze (rispetto alla gravità) che potevano a priori dipendere sia dalla massa che dalla forma e dalle dimensioni dei medesimi oggetti. Questo era evidente per Galileo dalla constatazione che lasciando cadere da una medesima altezza un pallino di piombo di 3 grammi ed un foglio di carta di eguale peso, è il foglio ad arrivare a terra molto dopo. Eppure la gravità esercita la stessa forza su entrambi, quello che fa la differenza è proprio l’attrito dell’aria.

Lo strumento realizzato a scuola si compone di una scatola in legno alta circa 1,30m, chiusa su tre parti,  con due fori identici nella parte superiore. Due palline, identiche per forma e dimensioni ma di materiale diverso (legno e metallo) e quindi di peso diverso, erano posizionate nella parte più in alto dello strumento. Un semplice meccanismo di apertura permetteva alle due palline, soggette alla forza di gravità, di essere liberate dal vincolo contemporaneamente e di scendere verso la base dello strumento. Nonostante le palline fossero di peso diverso, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare intuitivamente, esse arrivavano a terra nello stesso istante. Per evidenziare la contemporaneità dell’arrivo a terra, nello strumento erano state inserite alla base due distinte piastre metalliche che, se colpite contemporaneamente, chiudevano un circuito che accendeva una lampadina. L’accensione della lampadina quindi era la prova della contemporaneità dell’arrivo a terra. Una base di spugna era stata inserita sopra le piastre per attutire la caduta delle palline e non danneggiare la strumentazione.

 

PIANO INCLINATO

(a cura di Beatrice Livia, Alessandro Borriello, Giuliano Raffaele, Federico Guerra e Denise Tasciotti della 3 E, coordinati dalle prof.sse F. Burgos, R. Di Gregorio e P. Lazzarini)

 

“In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezobracio e per l’altro 3 dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo d’un dito; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita…”

( “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti  alla meccanica e ai movimenti locali”)

 

E’ cosi che Galileo Galilei descrive il suo piano inclinato in un discorso del 1638. Galileo pensò di trovare un modo che gli permettesse di facilitare le misure per descrivere la caduta di un grave. Per ricostruire la “macchina” abbiamo utilizzato una stecca di alluminio inserita in una di legno sulla quale sono fissati dei campanelli e l’abbiamo inclinata utilizzando un sostegno.

Una pallina scivola sulla stecca e fa suonare i campanelli. Essi suonano ad intervalli di tempo uguali  solo se i campanelli sono disposti in un modo particolare…quale?

 

Trovata la legge che regola la caduta della pallina nel tempo, essa era verificata sperimentalmente con l’aiuto di un metronomo.

 

IL PROIETTO

(a cura di Florian Pagnini della classe 3 H e di Gabriele Esposito, Zoe Fanizzi, Andrea Felici e Teodora Leon della classe 5 F, coordinati dalla prof.ssa P. Santucci)

 

Il problema di determinare la traiettoria descritta dal moto di un proiettile diventò oggetto di studio quando vennero introdotte le armi da fuoco. Il problema era rilevante dal punto di vista militare, allo scopo di determinare  l’inclinazione del cannone per ottenere la massima gittata.

Un importante matematico del 500 Niccolò Fontana, detto Tartaglia, risolse il problema affermando, in modo intuitivo, che il migliore angolo fosse 45°. Non avendo prodotto alcuna dimostrazione però il problema restò ancora oggetto di studio, fintantochè si diffuse la conoscenza di alcuni elementi della teoria delle coniche, che portò l’attenzione dei matematici sulla traiettoria parabolica.

Nel 1550, a seguito degli studi di Cardano, anche Galileo si occupò del problema. Da giovane egli aveva assistito agli esperimenti condotti dal suo maestro Guidobaldo Del Monte, in cui si studiava la traccia lasciata da palle intinte d’inchiostro lanciate su tavole di legno; Guidobaldo a seguito di questi studi si era convinto che la traiettoria di un proiettile fosse una catenaria.

Questo fu il punto di partenza per le riflessioni di Galileo, che, dopo i suoi studi, nella quarta giornata dei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” arrivò ad enunciare:

TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1

Un proietto, mentre si muove di moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato, descrive nel suo movimento una linea semiparabolica.

La dimostrazione corretta della forma parabolica della traiettoria di un grave risale al 1632 ed è opera di Bonaventura Cavalieri (1598-1647), sebbene Galileo rivendicasse la paternità della dimostrazione.

Non è noto se Galileo abbia costruito uno strumento che illustrasse che la traiettoria di un proiettile è parabolica.

Lo strumento prodotto a scuola per la mostra è stato realizzato ispirandosi a quello presente presso  il Museo Galileo di Firenze, realizzato dallo scienziato olandese Wilhem‘s Gravesande intorno al 1730.

MuseoGalileo

Lo strumento è composto da due parti: un arco di circonferenza per dare velocità al proiettile e una parabola con concavità verso il basso.

Nella costruzione realizzata  a  scuola,  per  costruire  la  parabola all’interno del rettangolo  è  stato  utilizzato  il metodo  di  Cavalieri, dove le intersezioni tra fili di uguale colore rappresentano  i  punti  appartenenti alla traiettoria del proiettile.

 

STATIVO PARABOLICO

(a cura di Tommaso Bartolini, Lara Bianchi, Alessia Mennella e Francesco Moretto classe 1 G, di Daniele Natale e Paterna Miriam della classe 4 M e di Leonardo Federici e Simone Santini della classe 3 H, coordinati dai proff. G. Drago, M. Romeo e G. Pasqua)

 

Etimologia

Il  termine  “Parabola”  deriva  dal latino parabŏla,  dal  greco παραβολή, der. di παραβάλλω ‘confronto’.

Il moto parabolico

La parabola è una conica ed è anche il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto fisso F detto fuoco e da una retta fissa detta direttrice che non lo contiene.

Il moto parabolico è un tipo di moto bidimensionale, esprimibile attraverso la combinazione di due moti simultanei ed indipendenti: il moto rettilineo uniforme e il moto uniformemente accelerato.

Galileo e il moto parabolico

Galileo si interessò fin dalla giovinezza al moto dei proiettili e probabilmente intuì subito la forma parabolica della traiettoria, ma la sua deduzione formale si trova nei “Discorsi “ (1638) –quarta giornata. Nella stessa opera rivela come fosse riuscito a tracciare sperimentalmente  alcune traiettorie  paraboliche. Nella dimostrazione Galileo utilizza le leggi del moto naturalmente accelerato dedotte  nei precedenti studi della caduta dei gravi, le proprietà geometriche della parabola, Il principio di composizione dei movimenti.

 

TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1

Un proietto, mentre si muove di moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato, descrive nel suo movimento una linea semiparabolica.

 

La teoria di Galileo

Per Galileo non ha senso il rapporto tra spazio e tempo perché s e t non sono grandezze omogenee: egli identificava rapporti di spazi con rapporti di tempi.

Lo strumento realizzato si compone di un’asta sulla quale, sfruttando la relazione tra spazio e tempo, sono state appese 20 palline in modo da riprodurre 20 posizioni successive del moto di un proiettile. Inclinando l’asta secondo diverse angolazioni è possibile verificare come si modifica  la  traiettoria  parabolica seguita dal proiettile, attraverso  l’osservazione  delle  posizioni assunte dalle palline

 

Sala Galileo Matematico

 

COMPASSO

(a cura di Silvia De Angelis, Maria Dello Russo, Letizia Nitti e Roberto Santori della classe 5 F e di Marcello Romano, Lorenzo Sommella e Lorenzo Ziccolella della classe 5 P, coordinati dalla prof.ssa P. Santucci)

 

L’INVENZIONE

Nel corso del Rinascimento furono molti i tentativi di elaborare uno strumento universale che permettesse di eseguire agilmente calcoli aritmetici e operazioni geometriche.

L’esigenza era sentita soprattutto in campo militare dove la tecnologia delle armi da fuoco richiedeva sempre più precise cognizioni matematiche. A queste esigenze rispondono i primi compassi di proporzione messi a punto nella seconda metà del XVI secolo, tra i quali alcuni singolari strumenti noti col nome di “radio latino” o “proteo militare”. Il compasso geometrico e militare di Galileo, inventato a Padova nel 1597, appartiene a questa categoria di strumenti.

Tra il 1598 e il 1604, Galileo istruì all’uso del suo compasso alcuni sovrani europei, quali il Principe Giovanni Federico di Alsazia, l’Arciduca Ferdinando d’Austria, il Langravio Filippo di Assia e il Duca di Mantova.

 

‘’.. gran Signori, i quali da 8 anni in qua hanno questo Strumento veduto, e da me appresone l’uso; de i quali quattro soli mi basterà ora nominare. Uno fu l’Illustrissimo  ed  Eccellentissimo  Sig. Gio. Friderico Principe di Holsazia, etc. e Conte di Oldemburg, etc., che l’anno 1598 apprese da me l’uso di questo Strumento, ma non ancora a perfezione ridotto. E poco doppo fui dell’istesso favore onorato dal Serenissimo  Arciduca  D.  Ferdinando d’Austria. L’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Filippo Landgravio di Assia e Conte di Nidda, etc. l’anno 1601 intese il medesimo uso qui in Padova. Ed il Serenissimo di Mantova due anni sono volse da me sentirne l’esplicazione’.’ 

(Le operazioni del compasso geometrico e militare, Galileo Galilei, 1606)

 

Il successo dello strumento spinse Galileo a divulgare ulteriormente la sua invenzione. Nel 1606 pubblicò 60 copie de Le operazioni del compasso geometrico e militare, vendendole privatamente insieme ad altrettanti esemplari dello strumento. La pubblicazione del trattato suscitò subito grande interesse, tanto da  provocare  un’aspra  polemica  nel  mondo  accademico  sulla  paternità dell’invenzione. La fortuna dello strumento fu dovuta soprattutto alla cura con cui Galilei scrisse l’opuscolo ‘’Le operazioni del compasso geometrico e militare’’ e soprattutto alla scelta della lingua, il volgare toscano, che permetteva la comprensione delle potenzialità e delle operazioni dello strumento a un pubblico più vasto.

Riportando le parole dello scienziato tratte da la dedica ‘’Ai discreti lettori’’: ‘’Finalmente, essendo mia intenzione di esplicare al presente operazioni per lo più attenenti al soldato, ho giudicato esser bene scrivere in favella toscana, acciò che, venendo talora il libro in mano di persone più intendenti della milizia che della lingua latina, possa da loro esser comodamente inteso’’.

 

Numerose varianti  furono elaborate per tutto il XVII e XVIII s

ecolo, mentre nel corso del XIX secolo, il compasso di proporzione fu gradualmente sostituito dalla diffusione di raffinatissimi regoli calcolatori che sopravvissero negli studi tecnici degli ingegneri, degli architetti e dei geometri fino al recente avvento del computer.

Galilei_Compasso

Nella mostra era presente una copia di uno dei compassi geometrico-militari realizzati dall’artigiano Marcantonio Mazzoleni, che lavorava per Galileo, appartenente al Museo Galileo di Firenze.

Lo strumento realizzato a scuola è in legno ed è in linea con le indicazioni didattiche presenti nel sito dello stesso museo.

L’exhibit  si  completava  con  un prezioso esemplare di compasso geometrico-militare in avorio del ‘700, appartenente alla collezione Salmeri di strumenti di calcolo.

 

CATENARIA

(a cura di Michela Giampaolo, Giordana Petruzzella, Martina Rocchetti, Carola Sacchi della 3 sez. H, coordinati dalle prof.sse A. Biagini, P. Plini)

 

“ …..Ferminsi ad alto due chiodi in un parete, equidistanti all’orizonte e tra di loro lontani il doppio della larghezza del rettangolo su ‘l quale vogliamo notare la semiparabola, e da questi due chiodi penda una catenella sottile, e tanto lunga che la sua sacca si stenda quanta è la lunghezza del prisma: questa catenella si piega in figura parabolica, sì che andando punteggiando sopra ‘l muro la strada che vi fa essa catenella, aremo descritta un’intera parabola, la quale con un perpendicolo, che penda dal mezo di quei due chiodi, si dividerà in parti eguali”.

( “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” Galileo Galilei, giornata 2a proposizione 1)

 

E’  stata  realizzata  una  semplice  struttura composta da un pannello su cui è stata appesa una catenella. La forma assunta dalla catenella faceva pensare a una parabola, ma tracciando alcuni punti appartenenti alla curva individuata dalla catena, si verificava, utilizzando riga e compasso, che i punti non verificavano  la  relazione  di  proporzionalità quadratica, caratteristica della parabola. La curva descritta dalla catenella prende il nome di catenaria

Anche Galileo, sebbene nel testo sopra citato lasciasse intuire che si poteva trattare di una parabola, successivamente nello stesso testo osserva che non si tratta esattamente  di tale curva:

“Ma più voglio dirvi, recandovi insieme maraviglia e diletto, che la corda così tesa, e poco o molto tirata, si piega in linee, le quali assai si avvicinano alle paraboliche: e la similitudine è tanta, che se voi segnerete in una superficie piana ed eretta all’orizonte una linea parabolica, e tenendola inversa, cioè col vertice in giù e con la base parallela all’orizonte, facendo pendere una catenella sostenuta nelle estremità della base della segnata parabola, vedrete, allentando più o meno la detta catenuzza, incurvarsi e adattarsi alla medesima parabola, e tale adattamento tanto più esser preciso, quanto la segnata parabola sarà men curva, cioè più distesa; sì che nelle parabole descritte con elevazioni sotto a i gr. 45, la catenella camina quasi ad unguem sopra la parabola”.

(“Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”; Galileo Galilei, giornata 4a proposizione 1; 1 a edizione 1638)

 

PARABOLOGRAFO

(a cura di Filippo Bardelloni, Carlotta Med, Leonardo Socciarelli, Luca Spadacenta della 3 sez. H, coordinati dalle prof.sse A. Biagini, P. Plini)

 

Il più antico autore di cui abbiamo traccia, che abbia trattato delle coniche è Menecmo, matematico greco del IV secolo a.C. Questi descrisse le coniche come l’intersezione di un cono retto con angolo al vertice di 90° e un piano α variabile. Nel caso della parabola, il piano è perpendicolare alla retta generatrice del cono.

Lo strumento “doppio cono” presente nel Laboratorio di Matematica dell’istituto è stato realizzato alcuni anni fa da Federico Corsi, allora studente del liceo.

In questo exhibit erano presenti due parabolografi: uno detto a filo, costruito in occasione della mostra, l’altro detto di Cavalieri, realizzato dall’Università di Tor Vergata , già in possesso del Laboratorio di Matematica dell’Istituto.

Parabolografo a filo

Per disegnare la parabola si utilizza la definizione della curva come luogo geometrico dei punti equidistanti da una direttrice (d) e da un punto detto fuoco (F) non appartenente ad essa.

Un filo di lunghezza l =AH, è vincolato nei suoi estremi ai punti A e F.

Se si fa scorrere a lungo d, mantenendo il filo teso e accostato all’asta b, in ogni punto P si ha l=AP+PF=AP+PH da cui PH=PF.

Si ha dunque che P appartiene a un arco di parabola avente il fuoco F e direttrice la retta d. Parabolografo detto di Cavalieri Si disegna  la parabola utilizzando la  relazione  di    proporzionalità quadratica.

Siano CV=h,  AC=x,  CK=p, durante il movimento dell’asta, in ogni istante si ha che CK è fisso, mentre AVK è un triangolo rettangolo, variabile  perché AC  cambia durante il movimento. Applicando dunque al triangolo rettangolo AVK il  secondo teorema di Euclide si ottiene  h²=xp.

 

BICICLETTA A RUOTE QUADRATE

 

(a cura di Eleonora Cal, Riccardo Corvino, Camilla Dolor, Alessia Mazzuca, Ferdinando Ottaviani, Dario Petrillo, Riccardo Tolone della 3 sez. P,Telene Di Rienzo della 5 sez. A classico e Andrea Calamida, Davide Lione della 5 sez.  E coordinati dalle prof.sse A. Biagini, P. Plini)

 

Come fa una bicicletta con ruote circolari a percorrere una strada piana?

Questo avviene poiché il baricentro della ruota rimane sempre ad un’altezza costante, permettendo  alla ruota di girare. Può una bicicletta a ruote quadrate fare lo stesso?

Se la ruota fosse quadrata, il suo baricentro  cambierebbe  continuamente    altezza,  causando continui balzi.

Per rendere lineare il percorso, si deve cambiare  la forma della strada, che da rettilinea assume un profilo composto da una successione di curve. Ognuna di questa è un arco di catenaria “invertita”.

Il prototipo realizzato a scuola ha il lato della ruota di lunghezza 2a = 10 cm,  d=5√2cm.

Nel 1960 il prof. Stanwagon ha costruito un modello di questa bicicletta presso Macalaster College, Minnesota.

La stessa procedura utilizzata per il quadrato funziona per qualsiasi poligono regolare di n lati (eccetto il triangolo).

All’aumentare  del  numero dei lati del poligono, le «gobbe»  della  strada  saranno sempre più piane fino ad arrivare a una ruota circolare con la strada totalmente piana.

 

Sala Galileo Astronomo

 

ASTROLABIO E NOTTURLABIO

(a cura di Marta Battisti e Federica Manuela della classe 2 P, Valentina Cafforio, Lucrezia Di Marzio, Claudia Esposito e Sofia Santucci della classe 3 E, di Giorgia Cappiello, Cristina Garlaschelli, Chiara Scoccia della classe 3 H, di Luca Zugaro, Alessandra Zumbo della classe 4 E, di Arianna Amadio, Sara Berardinetti, Iman Fizazi e Asia Traino della classe 4 F, Stefano Gabriellini, Davide Mascioli, Giorgio Urbani, Giorgia Verdiglione e Dario Zanoboni della classe 5 E e  coordinati dal prof. G. Casale)

 

Nella sala erano presenti alcuni exhibit che non erano stati realizzati dagli alunni, ma che esploravano  alcune  tematiche  studiate  dallo scienziato, come le macchie solari e il sistema eliocentrico, oltre a una copia di un  astrolabio e di un  notturlabio appartenenti al museo Galileo di Firenze

 

 

CANNOCCHIALE

“Circa dieci mesi fa ci giunse notizia che era stato costruito da un certo fiammingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti visibili, pur distanti assai dall’occhio di chi guarda, si vedevan distintamente come fossero vicini”

(Galilei G., Sidereus Nuncius, (traduzione italiana a cura di Luisa Lanzillotta, in Progetto Manuzio).

 

Nel 1608, proprio l’anno in cui l’astronomo olandese Keplero enunciava le sue prime leggi sul moto dei pianeti, a Padova, Galileo Galilei ebbe notizia di uno strumento che riusciva a far vedere vicine le cose lontane e si adoperò a costruirne uno.

L’invenzione del cannocchiale è di origine olandese, ma Galileo fu il primo a puntarlo al cielo. Grazie alle sue scoperte rivoluzionò il pensiero scientifico e astronomico del tempo, ancora legato al sistema aristotelico-tolemaico. Tutte le sue osservazioni vennero divulgate con la pubblicazione del Sidereus Nuncius nel 1610. Galileo costruì il suo primo cannocchiale con un tubo di piombo al quale applicò una lente convergente come obiettivo e una divergente come oculare: il cannocchiale riusciva ad ingrandire circa 17 volte.

La mostra ha ospitato la copia di uno degli esemplari originali di cannocchiale costruito da Galileo, conservato presso il Museo Galileo di Firenze

Anche per lo strumento da noi realizzato sono state utilizzate due lenti: una convergente detta  obiettivo, l’altra divergente detta oculare.

Le lenti devono essere allineate, cioè i loro centri devono stare sulla stessa linea retta detta asse ottico. Con il cartone si deve poi formare un tubo alle cui estremità vanno fissate le lenti.

Canocchiale


Angolo della termoscopia

 

TERMOSCOPIO

(a cura di Giulia Di Salvo e Alessia Gullì della classe 5 P, coordinate dalla prof.ssa P. Santucci)

 

Vincenzo Viviani riferisce nell’ opera “Vita di Galileo” che Galileo mise a punto a Padova, nel 1597, uno strumento per rilevare le variazioni di temperatura, detto termoscopio. Lo strumento, semplice quanto geniale, costituisce l’antesignano del moderno termometro. Il termoscopio galileiano è costituito da una piccola caraffa di vetro che presenta un cannello molto sottile, lungo circa 50 cm. Si riscalda la caraffa con le mani e la si immerge, rovesciata, in un recipiente pieno d’acqua. Quando si sottrae il calore delle mani alla caraffa, si osserva che l’acqua sale nel cannello dello strumento. L’esperienza evidenzia le modificazioni della densità dell’aria prodotte dalle variazioni di temperatura. Quando la caraffa viene riscaldata, l’aria al suo interno infatti si espande, provocando l’abbassamento del livello dell’acqua nel cannello; viceversa, quando l’aria si raffredda, il suo volume diminuisce consentendo all’acqua di risalire dal recipiente inferiore nel cannello della caraffa. Negli anni successivi, il dispositivo venne perfezionato da Galileo e dai suoi amici Santorio Santorio e Gianfrancesco Sagredo, per includervi una scala numerica: si ebbe cosi’ il primo termometro ad aria.

Nella mostra era anche presente la copia di un termometro a “ranocchietta” di proprietà del Museo Galileo di Firenze.

Il termometro “a ranocchietta” o – come lo definivano gli accademici del Cimento – “a botticino”, conteneva palline di vetro colorate di diversa densità immerse nell’acquarzente (utilizzata come liquido termometrico poiché alcool puro). Veniva impiegato come termometro clinico, legato al polso. Le variazioni della temperatura corporea venivano rilevate attraverso il movimento delle palline. Infatti, l’aumento della temperatura provoca l’aumento del volume dell’acquarzente, che viene evidenziato dal movimento delle palline. Dato che il movimento delle palline era lentissimo, questo termometro veniva definito “i

nfingardo”, cioè pigro.

Dal punto di vista fisico, il termometro sfrutta il principio di Archimede: ovvero se abbiamo due corpi (o fluidi) di densità differenti, quello con densità minore tenderà  a  salire  verso  l’alto mentre  quello  con  densità maggiore  tenderà  a  scendere verso il basso. Se la temperatura aumenta a contatto con il paziente,  il  liquido  contenuto nella  boccetta  diminuisce  di densità per il fenomeno della dilatazione termica nei liquidi. Quindi diminuendo la sua densità le palline di densità diverse  che si trovano al suo interno andranno a fondo. A secondo di quali vanno a fondo e quali no, si capisce qual è la temperatura del paziente, anche se non in modo preciso.

 

TERMOSCOPIO

Lo strumento costruito a scuola è stato realizzato con  due  beute  collegate  con  una  cannula.  La beuta  inferiore  e  parte  della  cannula  erano riempite con acqua colorata. Riscaldando la beuta  superiore,  il  liquido  scendeva  lungo  la cannula.

 

Angolo della misura del tempo

 

Pendolo

(a cura di Alessio Petrucci della classe 3 S, di Benedetta Carocci e Camilla Marcocci della classe 4 E e di Claudia Pasternak e Lucia Suriani della classe 5 E, coordinati dalle prof.sse F. Burgos, R. Di Gregorio e P. Lazzarini).

 

Nel De motu, scritto quando era professore a Pisa (1589-1592), Galileo introduce un argomento che per noi è estremamente interessante, perché costituisce una conferma della scoperta fatta a Pisa dell’isocronismo delle oscillazioni. Il suo ultimo discepolo e primo biografo, Vincenzio Viviani, fa risalire questa scoperta proprio al periodo pisano. Lo ha raccontato, con parole diverse, in più occasioni ufficiali: “In questo mentre con la sagacità del suo ingegno inventò quella semplicissima e regolata misura del tempo per mezzo del pendulo, non prima da alcun altro avvertita, pigliando occasione d’osservarla dal moto d’una lampada, mentre era un giorno nel Duomo di Pisa; e facendone esperienze esattissime, si accertò dell’egualità delle sue vibrazioni, e per allora sovvennegli di adattarla all’uso della medicina per la misura della frequenza de’ polsi, con stupore e diletto de’ medici di que’ tempi e come pure oggi si pratica volgarmente: della quale invenzione si valse poi in varie esperienze e misure di tempi e moti, e fu il primo che l’applicasse alle osservazioni celesti, con incredibile acquisto nell’astronomia e geografia”.

 

(VINCENZIO VIVIANI, Racconto istorico della vita del Sig.r Galilero Galilei)

 

[…] Il mobile B passa per il grand’arco BCD, e ritorna per lo medesimo DCB e poi ritorna verso, e va per  500 e 1000 volte reiterando le sue reciprocazioni: l’altro parimenti va da F in G, e di qui torna in F, parimente  farà molte reciprocazioni: e nel tempo ch’ io numero, verbi grazia, le prime cento grandi reciprocazioni BCD, DCB etc. un altro osservatore numera cento altre reciprocazioni  per FIG piccolissime, e non ne numera pure una sola di più: segno evidentissimo che ciascheduna particolare di esse grandissime BCD consuma tanto tempo, quanto ogni una delle minime particolari FIG. Or se tutta la BCD vien passata in tanto tempo in quanto la FIG, ancora le loro metà, che sono le cadute per gli archi disuguali della medesima quarta, saranno fatte in tempi uguali. Ma anco senza stare a numerar altro, V.S.Ill.ma vedrà che il mobile F non farà le sue piccolissime reciprocazioni più frequenti che il mobile B le sue grandissime, ma sempre anderanno insieme […]

Lettera di Galileo a Guidobaldo del Monte (1602)

 

Lo strumento costruito a scuola si compone di  un  sostegno  fornito  di  una  goniometro graduato,  a  cui  è  stato  sospeso  un  filo. All’estremità del filo è attaccato un grave. Lo strumento è stato utilizzato per illustrare il funzionamento dell’orologio ad acqua.

 

OROLOGIO A ACQUA

(a cura di Beatrice Livia, Alessandro Borriello, Giuliano Raffaele, Federico Guerra, Denise Tasciotti della 3 E, coordinati dalle proff.sse F. Burgos, R. Di Gregorio e P. Lazzarini)

 

“Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia piena d’acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino, saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d’acqua, che s’andava ricevendo con un piccol bicchiero per tutto ‘l tempo che la palla scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell’acqua, in tal guisa raccolte, s’andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando, dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano d’un notabil momento…”

(“Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali”)

 

Il secchio forato venne dunque usato da Galileo come un cronometro.

L’orologio ad acqua , per misurare il tempo, sfrutta l’idea che il moto dell’acqua avvenga, se la pressione è costante,  a velocità costante: sotto questa ipotesi la quantità di acqua defluita è proporzionale al tempo trascorso t. La descrizione di Galileo non sembra tener conto di questo. Per ottenere uno strumento preciso, bisogna mantenere  costante l’altezza della colonna d’acqua sopra il foro. Lo strumento che noi proponiamo , attribuito a Ctesibio (285 a.C.- 222 a.C.), ha questa caratteristica.

Lo strumento realizzato si compone di un  recipiente A, una riserva d’acqua necessaria per mantenere un livello costante dell’acqua, che alimenta il recipiente B dotato di due fori: uno in alto (scolo regolatore) dal quale, quando il livello sale eccessivamente, viene riversata acqua nel contenitore C, e uno sul fondo, che versa acqua nel contenitore D. In questo modo l’acqua nel recipiente B è sempre allo stesso livello e la massa di acqua raccolta nel contenitore D è direttamente proporzionale al tempo.

 

Conclusioni

 

L’esibizione

Gli Alunni svelano Galileo, rispetto all’esperienza museale dello scorso anno, è stata caratterizzata da alcuni aspetti diversi: uno di questi è stato il fatto che ha coinvolto il dipartimento dei docenti di Matematica e Fisica del liceo quasi al completo. Nonostante i punti di vista spesso diversi, e le eterogenee peculiarità professionali di ciascuno, siamo riusciti a lavorare in maniera sinergica e con obiettivi e metodi comuni, rinunciando talvolta al proprio punto di vista per accogliere quello dell’altro.

Dal punto di vista didattico la ricchezza specifica di questo progetto è stata la possibilità che hanno avuto gli studenti di costruire loro stessi gli strumenti oggetto dell’esposizione. L’applicazione della teoria allo strumento ha richiesto una conoscenza approfondita degli argomenti trattati. Nella costruzione si sono presentate tutte le difficoltà che si possono incontrare nel passare dal modello teorico alla pratica reale. Ad esempio, per il gruppo che ha affrontato il problema della caduta di un grave, l’attrito, considerato nei libri di scuola spesso trascurabile, ha rappresentato uno scoglio da superare per il funzionamento dello strumento. Ma la soddisfazione nel vedere il manufatto frutto dei loro sforzi, ha ampiamente ricompensato le fatiche, generando talvolta anche momenti di esaltazione. I materiali utilizzati sono stati materiali poveri, dunque talvolta l’aspetto degli strumenti non rende giustizia al lavoro svolto, ma ciò che rimane è la testimonianza della capacità, creatività e ingegnosità con cui gli studenti hanno superato i numerosi ostacoli che si sono presentati durante la costruzione. Le modalità di costruzione sono state le più svariate. Molti hanno svolto un lavoro utilizzando soltanto le mani e i classici attrezzi del falegname, altri sono ricorsi alla moderna tecnologia della stampante 3 D.

In ogni caso, come spesso accade, e questo è uno degli aspetti più belli del nostro mestiere, ciò che hanno saputo fare è andato ben oltre le nostre aspettative.

Per concludere, questa esperienza della scienza che fa meraviglia, che da una parte suscita lo stupore dello spettatore con fenomeni inaspettati e dall’altra ne fornisce una spiegazione scientifica e quindi li rende prevedibili e riproducibili, rappresenta a nostro parere il modo più autentico ed efficace per apprendere.