Diego Bianchi, da “cattivo maestro” torna nel suo liceo, l’Augusto

“Brutto comincià co’ ‘Ai tempi miei…’”. E’ l’esordio dolceamaro di Diego Bianchi, sabato acclamato ospite del collettivo degli studenti del liceo classico “Augusto”, la scuola dove l’animatore di “Propaganda Live” s’è diplomato alla fine degli anni Ottanta, sezione B. Commemora quell’esame con uno stuzzicante aneddoto: “Alla maturità presentai una trasgressiva tesina su Pasolini, che ovviamente non abbiamo mai studiato a scuola. Il membro interno, la professoressa di latino, che era pure un po’ di destra e in teoria ci doveva sostenere, mi telefonò per rimproverarmi dicendo che figurarsi se mi fossi risparmiato di gridare ai quattro venti che ero comunista…”. Bianchi incassa un 48, allora il massimo era 60. “Sarebbe un sessanta di oggi – scherza.

Approdò all’Augusto, dove era stato il padre, “alla stregua dei professori più stronzi e spesso, o di conseguenza, più democristi – come ricorda in un suo post. “Finii nella B per colpa di una donna (una ragazza con la quale era scritto nel destino e negli accordi materni di cui sopra che dovessi condividere, elementari, medie, superiori e università), senza avere nozione del contesto che m’attendeva; la stessa problematica sorte toccò ad altri miei compagni, se è vero come è vero che il primo giorno del IV ginnasio eravamo in 33 e che a maturarci arrivammo in 18 – ricorda ancora, confessando che in primo liceo portò due materie a settembre, italiano e greco, entrambe con cinque”.

Ironico, intelligente, aria scanzonata, sempre romanamente e romanisticamente sarcastico (“Un’esistenza da romanista di sinistra è una vita di sofferenza perenne”), molto giovane dentro (e meno fuori, si lamenta), Bianchi-Zoro si trova a sua agio in mezzo a studenti divisi tra la sfrontatezza e l’imbarazzo. Ma lui è un rompighiaccio: “L’autogestione esiste ancora? E le manifestazioni le fate sempre di sabato, così fate sega a scuola?”.

Il confronto scivola inevitabilmente verso la Politica. Ma quella con la P maiuscola, costituita di un mix di analisi serie ma scanzonate, in linea con la ricetta vincente della sua trasmissione. “Tendo ad alleggerire le cose pesanti e ad appesantire quelle leggere. Non è una strategia, è che io sono fatto così”.

Pur ammettendo di non riuscire ad essere neutrale e di schierarsi sempre, senza però voler imporre il proprio pensiero, premette di non voler fare un comizio. Ma non esclude – visti i tempi – che qualcuno possa alzare un polverone per questa sua vigilia di elezioni europee in una scuola. Allora imbocca l’argomento del giorno con assoluta leggerezza: “Chi rosica perché minorenne non può annà a votà domani? – s’informa. E ad un ragazzo che dice di essere al secondo voto: “Che sfiga se il tuo primo voto è stato per il referendum sull’Atac…”. Ad una ragazza indecisa: “Tentenni tra Salvini, la Meloni e la Sinistra?”. Ma l’inesorabile rispolvero degli anni Ottanta vissuti in via Gela è una lezione di vita più che di politica.

“Già da ragazzino ero fissato con il Pci, il Partito comunista, e rompevo le scatole a tutti chiedendo per chi votassero – rivela. “Inevitabile, già da minorenne, la tessera della Fgci, che non è la Federazione gioco calcio ma la Federazione giovanile dei comunisti. Insomma, roba serissima. Il mio segretario era Nicola Zingaretti, bei tempi perché perlomeno entrambi allora avevamo i capelli. La sede era in via Principe Amedeo, quindi qui in zona. Io ho iniziato lì e poi creai in via dei Rogazionisti (allora si chiamava via Varallo ndr), tra piazza Asti e piazza Ragusa, un UTC, cioè una delle Unioni dei circoli territoriali. Se le altre si chiamavano Che Guevara o Togliatti, io la dedicai a Woody Allen. E avevo più iscritti di tutti”.

Quindi la Lega degli studenti medi, quando Lega era una parola neutra.

“Allora la presenza di destra all’Augusto era scarsa – rievoca. “A scuola il vero male erano quelli di CL, cioè Comunione e Liberazione, giovani già vecchi e bigotti. Certo, in zona la destra non mancava, c’erano le sezioni di via Noto, di piazza Tuscolo, di Acca Larenzia. Ma il quartiere San Giovanni, dove abito, è stato sempre prevalentemente di sinistra. Oggi, invece, gli equilibri stanno cambiando e penso che ciò dipenda principalmente dal fatto che la sinistra prima s’occupava pesantemente di scuola, di università, di ricerca, di sapere, mentre in questo periodo è la destra che sembra accorgersi dell’importanza di questo ruolo”.

Gli studenti gli pongono domande, prevalentemente sulla comunicazione, sui social, sulla televisione.

“La comunicazione una volta era autorevole, formale, accreditata, istituzionale. Oggi è tutto cambiato e c’è un’overdose di informazione, tra l’altro unidirezionale, in cui il politico parla prevalentemente ai suoi tramite i social. Il numero di fans, di like, di followers, spesso comprati, accresce l’ego e la vanità dell’oratore – del tipo “Vai Capitano!” e solletica linguaggi sdoganati che permettono di dire cose gravissime con una leggerezza incredibile. Così è tutto smodato, pacchiano, vedi i simboli religiosi sbattuti in faccia. Confesso che spesso trovo i social di una noia mortale”.

E il Diego Bianchi giornalista? “Il paradosso è che io non sono giornalista, non sono iscritto all’Ordine dei giornalisti e quando debbo entrare in un palazzo istituzionale o mi riconoscono o m’improvviso operatore di qualcuno accreditato – scherza. “Mi danno anche premi di giornalisti, come quello prestigioso a Ischia, io me li prendo e vabbè. Il problema vero è che il deficit di rappresentanza, soprattutto a sinistra, porta la gente ad avere come riferimenti anche una Ong o un giornalista, appunto. Ma la mia vera responsabilità comunicativa non è nell’appartenere ad un Ordine, un domani potrei anche farlo, ma nel raccontare cose generalmente impopolari. Tanti giornalisti che parlano di immigrazione, di rifugiati, di Libia, non sono mai stati su una di queste navi nel Mediterraneo dove capirebbero un po’ di cose. Ma in fondo l’assurdità dei nostri tempi è che io vado a fare un servizio in Uganda, otto giorni in cui quotidianamente mi spiegano che potrei morire da un momento all’altro, mentre in Italia un giornalista di Repubblica ha rischiato la pelle a Genova per le manganellate da parte di chi dovrebbe essere addestrato proprio ad evitare la violenza”.

L’ex studente dell’Augusto parla anche della sua formazione e dell’approdo in tv.

“Sulle orme di papà ho fatto il liceo classico e poi scienze politiche all’università, che è di solito il percorso di uno che non sa che fare nella vita – ironizza. La sua tesi, discussa con Domenico Fisichella, che poi sarà senatore di destra, ha avuto come oggetto La Rete di Leoluca Orlando e la Lega Nord. “Eppure, ve lo dico per sostenervi un po’, il classico è stato utile. Quando c’è stato il boom dell’informatica, si cercavano soprattutto ingegneri. Però c’era il problema di riempire di contenuti i siti e così si reclutava chi sapeva scrivere bene”. Anche Bianchi, dopo la gavetta come stagista di tutti i tipi, da Ford a Telecom, finisce in una società informatica, assunto con contratto a tempo indeterminato. Sarà un blogger antesignano, già nel 2003. Ma è con Youtube che s’affinerà la sua passione per la produzione di video.

“Non ho mai fatto un corso di montaggio o di produzione, tutto da autodidatta – racconta. “Un periodo ho fatto l’unico opinionista serio sul Grande Fratello: analizzavo quella trasmissione come un sociologo o un antropologo e i video avevano pure successo. Sono stato fuori quella casa un paio di volte, tra folle deliranti portate con i pullman da Castellammare di Stabia o da Pozzuoli, tutti figuranti ma che facevano finta di essere amici e parenti dei protagonisti. In quel periodo nella casa c’era una concorrente nordafricana che stava sul cavolo a tutti e in ogni intervista al pubblico uscivano cose negative. Una volta m’intervistarono ed io la difesi come rappresentante della causa araba. Non m’hanno più interpellato”.

Il conduttore di “Propaganda live” spiega ai ragazzi come Rocco Casalino, concorrente della prima edizione del Grande Fratello nel 2000, sia oggi uno degli uomini più potenti della politica italiana. “Quando mi vede si agita un po’, sarà che gli ricordo sempre da dove è partito – si schernisce.

Il vero salto di qualità di Diego Bianchi “Zoro” è con la divertente serie “Tolleranza Zoro”, dove s’è occupato soprattutto di politica e del Partito democratico, con le sue diverse correnti. Sarà Serena Dandini nel 2008 a proporgli di inserire i suoi originali video, che in rete calamitavano 30mila visualizzazioni a settimana, all’interno della trasmissione “Parla con me” su Raitre. “Ho lasciato un posto di lavoro sicuro per un’avventura un po’ incosciente in televisione: chiesi alla Dandini soltanto la massima autonomia nel fare i video. Mi è andata bene perché ho sempre creduto nella qualità dei contenuti”. E’ il primo caso in Italia di un prodotto nato sul web e riprodotto in televisione mantenendo inalterato il format. Un prodotto addirittura anti-televisivo rispetto alle regole classiche della televisione. “I miei video su Youtube duravano nove minuti e 59 secondi, era il massimo che permetteva il mezzo. Ed i miei servizi in ‘Propaganda Live’ durano anche un’ora. Oggi in tv un servizio perde l’attenzione già dopo un minuto. E’ la conferma che sono i contenuti a fare la differenza”.

Dopo il successo della trasmissione “Gazebo” in Rai, partita nel 2013 e terminata nel 2017, e del film “Arance & martello” (2014), girato nel suo quartiere San Giovanni e presentato fuori concorso alla 71ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dal 2017 presenta il programma “Propaganda Live” su La7. Un successo crescente. Soprattutto per i pubblicitari. “Quanno me vedono se buttano ai piedi – scherza Diego. Perché il pubblico della trasmissione “più de sinistra” della 7 è anche commercialmente interessante. Il capitalismo, ahinoi, è davvero indistruttibile…

(Giampiero C.)