Cosa resta del senso di umanità

Le guerre, ormai meno convenzionali e sempre più asimmetriche e ibride, intese come contrapposizioni armate tra eserciti di Paesi diversi, sarebbero oggi nel mondo secondo l’Onu cinquantanove.

Se più largamente parliamo di scontri che coinvolgono Stati, organizzazioni criminali, bande armate o la popolazione civile, il loro numero secondo i dati dell’Uppsala Conflict Data Program dell’università svedese arriverebbe a centosettanta.

Che si tratti in ogni caso di eventi estremamente negativi dovrebbe essere lapalissiano generando essi morti, distruzioni, fame e ogni sorta di danni materiali, psicologici e sociali.

Ciò che accade ogni giorno nei teatri di guerra è terribile, raccapricciante!

In particolare i dati sulle sofferenze e sui morti nel Medioriente, che in maniera impietosa ci vengono posti avanti dalle immagini televisive, ci tolgono davvero il sonno e dicono che in quei territori stiamo assistendo a veri e propri massacri che lasciano pensare a pesanti forme di genocidio.

Dopo i morti e le deportazioni prodotti da Hamas con il blitz del 7 ottobre ora nel nord della striscia di Gaza gli Israeliani hanno creato un paesaggio lunare disseminato di macerie e di oltre settemila morti dei quali duemilatrecento sarebbero bambini.

Mentre scrivo le agenzie di stampa battono la notizia di una nuova possibile guerra nei Balcani.

Ciò che accade nel mondo ci dà con chiarezza il segno che il senso di umanità si è ridotto al lumicino.

Lascia esterrefatti l’assoluta incapacità degli Stati e delle organizzazioni internazionali nel cercare delle vie di uscita ai gravi problemi aperti in diverse aeree geografiche creati in gran parte da fattori riferibili a colonialismo, imperialismo e radicalismi ideologici e religiosi.

Al Palazzo di Vetro di New York, dopo la richiesta di dimissioni del delegato israeliano per il segretario Gutierrez a causa delle sue considerazioni di assoluto buon senso sulla situazione mediorientale, si assiste al solito teatrino grottesco generato dal diritto di veto che finora sta impedendo ogni decisione sulla richiesta di cessate il fuoco.

Il Consiglio europeo prova a distinguersi dalle posizioni filo israeliane di Ursula von der Leyen, ma non riesce ad andare oltre una richiesta di “pause umanitarie a Gaza”.

Il sostanziale appoggio degli Stati Uniti a Israele, quello della Russia e della Turchia per Hamas e la voluta incertezza della Cina complicano ovviamente la ricerca di ogni possibilità di soluzione delle questioni aperte all’orizzonte.

Se non passa una decisione urgente come la richiesta di un cessate il fuoco da parte dei contendenti, vuol dire che la follia umana domina la storia.

Tutto ciò dovrebbe convincerci che le lotte armate non possono appartenere ai dati strutturali utili agli esseri umani per risolvere i loro più svariati problemi e invece c’è chi in recenti trasmissioni televisive avanza ancora il principio tomistico in filosofia politica della guerra giusta purché condotta sulla base di “una retta intenzione per promuovere il bene ed evitare il male”.

Tale concezione, ormai superata da anni negli stessi documenti della Chiesa cattolica, è profondamente contraddittoria non riuscendo a spiegare come un conflitto armato con gli effetti deleteri che genera possa promuovere il bene ed evitare appunto il male.

Io non credo sia utopistico immaginare l’eliminazione della guerra dal consesso umano e penso non ci si possa limitare, come taluni suggeriscono, a minimizzarne solo gli impatti negativi.

La Costituzione Italiana ha delineato già un percorso in tale direzione con l’articolo 11 che recita testualmente “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Certo, come sostengono i nostri padri costituenti, il ruolo delle organizzazioni internazionali nell’eliminare i conflitti armati dalla storia dell’umanità è fondamentale a patto però che esse si diano una vera struttura democratica che oggi non hanno e siano capaci di prevenire e gestire le forme di conflitto che si affacciano nelle diverse aree geografiche.

Guardando in televisione le distruzioni generate sulla striscia di Gaza viene in mente l’espressione di Calgaco, re dei Caledoni, che riferendosi ai Romani afferma “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” che noi liberamente traduciamo “dove fanno un deserto, lo chiamano pace”.

Molti pensano che la pace possa equipararsi al processo che conclude una guerra.

Non c’è nulla di più errato come ha dimostrato il filosofo e teologo Raimon Panikkar nel suo recente volume “Pace e disarmo culturale” edito da Rizzoli.

Analizzando migliaia di trattati di pace da Hammurabi ai nostri giorni, l’autore dimostra come essi abbiano definito solo le aspirazioni dei vincitori senza riuscire a creare pacificazione sui contrasti.

Panikkar precisa tuttavia che una pace fondata sulla giustizia non si riuscirà ad ottenere solo con il disarmo, la revisione degli assesti militari e una riorganizzazione del sistema economico orientato alla condivisione dei beni della Terra, ma soprattutto attraverso una rivoluzione culturale in grado di farci uscire dall’assolutismo, dalle dittature, dai nazionalismi e dagli imperialismi.

Aggiungo che ogni forma di riconciliazione tra i popoli non può che fondarsi sulla rinuncia al radicalismo ideologico e religioso facendo prevalere il dialogo interculturale.

Solo in tal modo la pace potrà essere riconosciuta da tutti come un ordinamento sociale necessario appartenente ai diritti umani e da costruire ogni giorno fondandolo sull’amore e il rispetto della dignità dell’altro.

Come scrive opportunamente Raniero La Valle sulla rivista ROCCA la pace “non è solo un sogno dei pacifisti, è un compito di tutti i pacifici”.

L’impresa non è semplice, ma dobbiamo assolutamente crederci operando per cancellare la guerra dalla storia.

(Umberto Berardo)