ANALISI / Renzi e sindacati confederali uniti per il diktat europeo del “Jobs Act”

isfolLa proposta  di politica attiva del lavoro a firma di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria  dello scorso 1° settembre rende ormai di pubblico dominio il ruolo dei sindacati confederali  nell’ambito dell’attuazione del “Jobs Act”, la “riformona” in linea con i diktat imposti – non casualmente – dall’Unione europea. Sappiamo bene i risultati che questi provvedimenti stanno comportando per il mondo del lavoro: l’illusione di una crescita dell’occupazione è stata di fatto determinata unicamente dai provvedimenti temporanei di sgravio per le aziende (non a caso il “miracolo” del 2015, crescita dei posti a tempo indeterminato, s’è subito sgonfiato non appena sono finiti gli incentivi).
La triade sindacale “confederale”, in questo, conferma il suo appiattimento sulle linee del governo. Sancita la totale disponibilità a collaborare con l’esecutivo Renzi (quello non eletto dagli italiani) nella gestione di quei legittimi conflitti che seguono il dissolvimento delle tutele di quei lavoratori vittime di aziende in crisi o investite da ristrutturazioni produttive, il documento rende esplicito il ruolo ad essi garantito nella neo Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) istituita attraverso il decreto 150/2015 (Jobs Act) e di cui certo non se ne avvertiva l’esigenza.
Questo nuovo organismo, infatti, rischia seriamente di tramutare i soliti “buoni propositi” espressi sulla carta nell’ennesimo carrozzone di fatto. Di fronte a questa prospettiva, Cgil, Cisl e Uil, quest’ultima fresca di scandali su crociere e gioielli per i vertici pagati con i soldi dei lavoratori secondo l’inchiesta in corso, risultano perfettamente incardinati all’interno (i membri del Consiglio di vigilanza e indirizzo strategico, vengono nominati da costoro) e ormai lontani dalla loro storica missione, concentrano la loro attenzione su quegli ingannevoli “progetti di ricollocazione” (alias formazione ) vero core business delle loro agenzie formative e delle loro agenzie di collocamento di lavoratori interinali.

In questa accettazione della logica delle compatibilità (“meglio poco che niente”), tipica di una società impoverita e povera di obiettivi e nella ingannevole narrazione in cui si genera lavoro senza investimenti, ma con tanta formazione, la ricerca pubblica ne esce ulteriormente umiliata poiché Anpal si costituisce con le risorse economiche e 100 unità di personale dell’Isfol, l’unico ente pubblico di ricerca, con una solida e prestigiosa tradizione, che si occupa di lavoro, formazione e inclusione sociale e che ora rischia di venire sacrificato: il suo dissesto finanziario sarà conclamato non appena conclusa l’imminente mobilità forzata del personale.

Ricorda bene l’Usb: “Il primo e determinate tassello con cui si è arrivati a determinare quanto sta accadendo è il via libera dato all’operazione, dal “salvifico” accordo del dicembre 2014, quello che la sola Usb contestò. E oggi, come ieri, affermiamo che senza l’interessata acquiescenza di cgilcisluilanpri e con tutti i lavoratori dell’Isfol per la prima volta compattamente in piazza, il prosieguo di quella mobilitazione avrebbe potuto determinare un futuro diverso per l’Isfol”.

Gli interessi economici delle parti sociali travalicano ormai da tempo la difesa del bene comune e dei lavoratori e da qui nasce e prende corpo la svendita dell’Isfol e di altri organismi analoghi. E’ un modello di politiche del lavoro che va combattuto, anche attraverso la campagna per il “no” alla riforma costituzionale su cui si iscrive il destino di un’Agenzia che, centralizzando  tutte le politiche attive e passive dei lavoratori, contribuisce a svuotare di autonomia le istituzioni territoriali, mettendo a rischio quel principio di garanzia di libertà contro ogni avventura autoritaria.
Un governo che si definisce di “centrosinistra”, adottando i “consigli” comunitari, sta di fatto procurando più problemi di quanto sia riuscito a fare Berlusconi. Il mondo della ricerca ringrazia.