Ciao Italia, molti immigrati non sognano più e vanno via

StranieriIn alcune aree della provincia di Roma un tempo gli insediamenti degli stranieri erano continui. L’edilizia, in particolare, era fonte di richiamo. E tante cittadine dell’Est Europa si insediavano per poter poi lavorare come badanti soprattutto nei quartieri più benestanti della Capitale.

Oggi l’indicatore che le cose stanno cambiando è in una nuova migrazione: quella dei tanti cittadini extracomunitari che lasciano Roma con destinazione soprattutto Germania, Francia, Inghilterra, ma anche la Scandinavia. I più vanno via, come raccontano, per dare un futuro ai figli.

La recessione sta decimando le aziende e le opportunità. Con la scomparsa dei posti di lavoro anche il fenomeno migratorio ne risente. Se anni fa i lavoratori stranieri, compresi gli irregolari, erano ricercati come oro dagli imprenditori, anche perché i loro salari erano inferiori del 31 per cento rispetto alla media (Rapporto annuale Istat 2005), oggi non servono più. Quindi o “si arrangiano” o fanno le valigie.

Del resto anche nel Nord Italia il fenomeno si ripresenta con numerose analogie. Qui, ovviamente, c’è più benessere e negli anni Novanta sono arrivati moltissimi stranieri, che poi hanno favorito una serie di ricongiungimenti familiari. Ma negli ultimi tempi c’è una brusca inversione di tendenza: con l’incertezza del mantenimento del posto di lavoro o addirittura con la perdita del posto di lavoro stesso c’è riduzione dei nuovi arrivi” e, nel contempo, si registrano tante partenze. Ha maggiori difficoltà ad abbandonare tutto chi è inserito da decenni, ha figli e nipoti, o addirittura è diventato piccolo imprenditore, soprattutto nell’edilizia.

Oltre agli spostamenti in Europa, laddove magari abitano parenti o connazionali, si rientra anche nei Paesi d’origine, rinunciando al sogno italiano. Si tratta di gente proveniente dai Paesi dell’Est Europa o slavi, ma anche dalla fascia subsahariana, ghanesi, persone che vengono dal Bangladesh e dallo Sri Lanka.

C’è poi un altro fenomeno: quello di lavoratori stranieri altamente qualificati, assunti in ruoli dirigenziali in multinazionali: anche questi risentono dell’evoluzione economica.

 

LAVORI DEQUALIFICATI E “VOLATILI” – Benché, in linea generale, il numero dei cittadini stranieri in Italia continuerà a crescere, lo farà con ritmi meno incalzanti. Attualmente la loro presenza continua ad aumentare grazie soprattutto alla domanda di donne immigrate per il lavoro domestico e di assistenza agli anziani. Ma anche grazie ai ricongiungimenti familiari, mediamente 120mila all’anno. E alle nascite in Italia, che assicurano linfa alle comunità straniere. C’è poi il fenomeno degli sbarchi. Tuttavia l’afflusso generale di stranieri ha perso i ritmi di qualche anno fa.

La Fondazione Ismu di Milano conferma, nelle sue analisi revisionali, il forte rallentamento dei flussi: il tasso medio di crescita annua dovrebbe ridursi dall’attuale 7 all’1,3 per cento circa nel 2030-2034. Nel 2020 gli immigrati residenti potrebbero essere oltre sette milioni (dagli attuali cinque), nel 2035 poco meno di dieci.

Del resto sempre più italiani stanno lasciando il proprio Paese: almeno 100mila nel 2015, record assoluto negli ultimi anni. Quindi la “fuga” è generalizzata. Con una crisi demografica che ci attende dietro l’angolo.

Al di là delle previsioni, da prendere sempre con il beneficio del dubbio (anche perché una qualsiasi crisi internazionale può far saltare le “certezze” di ogni studio), c’è una peculiarità italiana che incide fortemente sui trend: gli stranieri occupano per lo più ruoli di basso livello, quindi estremamente insicuri.

“La presenza di lavoratori immigrati è stata ed è essenziale per la tenuta di due settori centrali per la struttura produttiva del centro Nord e più in generale per la competitività dell’economia italiana: l’industria manifatturiera e le costruzioni, che si caratterizzano per una forte presenza di immigrati maschi – scrivono Emilio Reyneri e Federica Pintaldi in “Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi” (Il Mulino). “I due terzi delle industrie manifatturiere italiane sono concentrate al Nord, dove l’alto tenore di vita dei giovani li porta a non accettare il lavoro in fabbrica, che viene quindi coperto dagli immigrati”. Ma, avvertono i due studiosi, “la dura realtà dell’inserimento nel mercato del lavoro rivela il serio rischio che gli immigrati diventino sempre più delle minoranze etniche, concentrate in attività molto utili, ma poco qualificate o faticose e quindi non gradite ai giovani nativi, il che aggiunge un’ulteriore dimensione al carattere duale del mercato del lavoro italiano”.

A questi settori va aggiunta l’agricoltura, sempre un po’ troppo trascurata nelle analisi. Il settore primario continua ad assorbire manodopera straniera, vista ancora come un’opportunità.

Il quadro del lavoro è un fattore centrale per comprendere il perché della “volatilità” del lavoratore straniero al Nord: l’immigrazione s’è orientata quasi esclusivamente verso mansioni poco qualificate, quelle ormai non più coperte dai giovani italiani, sempre più istruiti e con crescenti aspirazioni occupazionali. Gli immigrati per anni hanno trovato facilmente lavoro ma ai livelli più bassi di qualificazione e nei settori oggi più duramente colpiti dalla crisi, cioè le costruzioni e l’industria manifatturiera. Il tasso di disoccupazione degli stranieri nel nostro Paese è cresciuto parallelamente alla crisi, ma anche rispetto agli italiani.

A pagare la recessione è soprattutto la componente maschile, mentre tra i settori primeggiano industria e costruzioni. Rispetto ai livelli pre-crisi del 2007, le assunzioni di stranieri nel settore dell’edilizia si sono ridotte dell’80 per cento.

A salvare il dato complessivo è soltanto l’esercito delle badanti: la domanda di assistenza familiare, che occupa soprattutto le donne, è abbastanza al riparo dalla crisi. Almeno finora.

Va infine evidenziato il dato delle nuove povertà, che include molti espulsi dal mondo del lavoro. Il rischio di indigenza interessa la metà delle famiglie immigrate, con incidenza più che doppia rispetto agli italiani.

 

L’IMMANCABILE FORBICE NORD-SUD – Se ormai un occupato su dieci ha la cittadinanza straniera, le differenze tra le regioni, settori e livelli di qualificazione professionali sono abissali. Nel Centronord gli immigrati hanno raggiunto il 12-13 per cento degli occupati, mentre nel Mezzogiorno superano di poco il 5 per cento. Ecco perché è il Nord ad incrementare maggiormente l’esercito delle partenze.

Riguardo ai settori, la presenza di lavoratori stranieri è maggiore nei servizi alle famiglie, le costruzioni, gli alberghi e la ristorazione, l’industria manifatturiera e i trasporti. Caso a parte è l’agricoltura, dove la presenza di lavoratori immigrati è sottostimata a causa dei tanti irregolari, soprattutto al Sud.

Nonostante la difficile congiuntura economica che ha coinvolto anche le nostre aziende agricole, si registrano ancora significative opportunità di lavoro per gli stranieri in Italia. Le aziende che più assumono manodopera straniera sono quelle legate ai comparti orticolo e zootecnico. Tanti gli africani nei campi, monopolio degli indiani nel settore zootecnico. Ma una realtà accomuna tutti i lavoratori: “La qualifica professionale, già in loro possesso ancor prima di arrivare in Italia, spesso non corrisponde a quella richiesta per l’attività che svolgono nelle aziende agricole, in quanto le mansioni a loro affidate sono prevalentemente di basso profilo e scarsa qualificazione – spiegano gli esperti della Coldiretti.

La decrescita è testimoniata anche dal numero dei nuovi permessi di soggiorno, in calo, ma anche l’invio di soldi all’estero da parte di cittadini stranieri, il cui volume registra contrazioni ormai da qualche anno.

 

LA FOTOGRAFIA DELL’ESODO – Istat. Cnel e Fondazione Leone Moresca hanno fotografato il nuovo esodo di cittadini stranieri verso luoghi lontani dall’Italia. Un “espatrio” che li avvicina a tanti italiani che spesso compiono lo stesso viaggio in cerca di fortuna. “Dall’inizio della crisi sono più che raddoppiati i trasferimenti dall’Italia – scrivono alla Fondazione Moresca. “Un terzo è costituito da stranieri che lasciano il nostro Paese per rientrare in patria o proseguire il percorso migratorio altrove. I nuovi emigranti italiani fuggono prevalentemente dalle regioni del Nord”.