Perché, però, servono più soldi del previsto? Innanzitutto perché sono state sbagliate, per l’ennesima volta, le stime sulla crescita. Ci si era spinti fino all’1,5, poi su un più realistico 1,0, ma ora si teme uno 0,8. Poi qualche miliardo servirà per i paesi del centro Italia colpiti dal terremoto. Ma non meno di 600 milioni in più saranno necessari per i migranti: non direttamente per loro, beninteso, ma per alimentare quelle numerose organizzazioni che lavorano soprattutto grazie all’esercito dei rifugiati.
I circa 22 miliardi che serviranno per la manovra dove finiranno? Quest’anno la parte del leone potrebbe farla l’iniziativa “Industria 4.0”, che sostituirebbe i miliardi investiti in passato sul taglio dei contributi alle aziende senza che ciò abbia inciso – come da obiettivo dichiarato – sulla crescita stabile del numero dei contratti di lavoro a tempo indeterminato. Anzi, dopo il fuoco di paglia delle precedenti stagioni, quelle con le assunzioni senza contributi, quest’anno il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato è crollato. Così come sono crollate le attese per il Job Acts.
A proposito di Job Acts, ci si domanda sempre più insistentemente per quale motivo si usino termini anglosassoni, spesso anche astrusi, per indicare le azioni del governo. Il repertorio è ampio: “spending review” (tagli), “voluntary disclosure” (capitali da recuperare), “split payment” (Iva dei fornitori trattenuta). Sarà perché la “chiarezza” è sempre la bandiera della politica italiana?