IL PUNTO / Governare tra debiti e tagli

TAGLIPer la legge di bilancio servono tra i sette e gli otto miliardi. Come risolvere il problema? Le proposte vanno nella solita direzione: tagli ai servizi per i cittadini, cioè meno sanità (forse un miliardo di euro in meno) e beni pubblici. Poi l’immancabile “lotta all’evasione” e il rientro dei capitali dall’estero. E se non dovesse bastare, ecco anche un gioco linguistico degno di un enigmista: “flessibilità”. Cosa significa? In soldoni, è ulteriore deficit. Cioè il governo, alla ricerca di risorse per la prossima manovra, chiede ai burattinai di Bruxelles l’autorizzazione per fare più debito. Si punta al 2,4 per il rapporto deficit-Pil. Le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, a “L’intervista” di Sky Tg24 sono emblematiche: “La flessibilità ce la siamo guadagnata”. Cioè è una “conquista” l’autorizzazione per fare ulteriori debiti. L’unico modo, tra l’altro, per evitare l’ulteriore aumento dell’Iva. Dimenticando che il debito pubblico, nonostante le rassicurazioni di Padoan delle ultime stagioni, continua in realtà a crescere vertiginosamente. E anche per il prossimo anno non è previsto un calo del debito.

Perché, però, servono più soldi del previsto? Innanzitutto perché sono state sbagliate, per l’ennesima volta, le stime sulla crescita. Ci si era spinti fino all’1,5, poi su un più realistico 1,0, ma ora si teme uno 0,8. Poi qualche miliardo servirà per i paesi del centro Italia colpiti dal terremoto. Ma non meno di 600 milioni in più saranno necessari per i migranti: non direttamente per loro, beninteso, ma per alimentare quelle numerose organizzazioni che lavorano soprattutto grazie all’esercito dei rifugiati.

I circa 22 miliardi che serviranno per la manovra dove finiranno? Quest’anno la parte del leone potrebbe farla l’iniziativa “Industria 4.0”, che sostituirebbe i miliardi investiti in passato sul taglio dei contributi alle aziende senza che ciò abbia inciso – come da obiettivo dichiarato – sulla crescita stabile del numero dei contratti di lavoro a tempo indeterminato. Anzi, dopo il fuoco di paglia delle precedenti stagioni, quelle con le assunzioni senza contributi, quest’anno il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato è crollato. Così come sono crollate le attese per il Job Acts.

A proposito di Job Acts, ci si domanda sempre più insistentemente per quale motivo si usino termini anglosassoni, spesso anche astrusi, per indicare le azioni del governo. Il repertorio è ampio: “spending review” (tagli), “voluntary disclosure” (capitali da recuperare), “split payment” (Iva dei fornitori trattenuta). Sarà perché la “chiarezza” è sempre la bandiera della politica italiana?