OPINIONI / Politica, un’estenuante fase di promesse

SalviniChi paga? E’ questa la domanda che si pongono quegli italiani dotati ancora di buon senso e non contagiati dalla febbre del populismo. Perché, pur essendo terminata – almeno ufficialmente – la campagna per le elezioni del 4 marzo, le proposte un po’ oniriche dei programmi elettorali tengono ancora banco.

Dall’abolizione della legge Fornero al vessillo del reddito di cittadinanza, dai tagli delle tasse al salario minimo, i cavalli di battaglia vengono riproposti come un mantra. Occasione costante sono le frequenti apparizioni televisive dei leader e dei loro comprimari. Opportunità quasi inaspettata sono i tanti comizi per le amministrative offerti dalle piazze di Campobasso o Trieste, in una sorta di “distrazione di massa” che ha esteso la fase propositiva rispetto a quella operativa. Certo, iprimattori ci fanno sapere che aspirano a conquistare il timone del Belpaese proprio per far diventare realtà questi “libri dei sogni”: ma intanto i leader restano imprigionati dalle pregiudiziali vicendevoli, impietosamente concatenate, che rendono insolubile il rebus.

Questo protagonismo dei programmi sta alimentando anche un altro fenomeno: una sorta di mimetismo reciproco. Se Pd e Lega s’ispirano al reddito di cittadinanza di matrice grillina con l’allargamento del reddito d’inclusione o le proposte dell’assegno universale o del salario minimo legale, da parte sua il M5S “aggiusta” il proprio programma smussando i toni antieuro e antieuropeisti per indossare il doppiopetto d’ordinanza a Palazzo Chigi. Un’operazione di maquillage già compiuta dalla Lega abbandonando le bandiere del federalismo o del separatismo e diventando il partito più nazionalista del nostro Paese.

C’è di più: le proposte elettorali stanno godendo di nuova linfa in quanto rilanciate dal Comitato per l’analisi dei programmi istituito da Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento Cinque Stelle. Il professor Giacinto Della Cananea, allievo di Sabino Cassese e coordinatore di questo think tank, intende scovare il maggior numero di sinergie tra i diversi programmi elettorali per poter formalizzare un patto di governo. Insomma, si procederebbe – con una certa originalità – per similitudini.

Tentativo onorevole, per carità. Ma forse bisognerebbe anteporre un altro studio, quello elaborato dall’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli, che evidenzia come le proposte dei tre principali attoriin campo – centrodestra, M5S e Pd – prevedono misure espansive per complessivi 275 miliardi di euro. Ritorna la domanda iniziale: chi paga?

Qualora all’orizzonte prendesse corpo un governo del presidente, tutte queste agende programmatiche piene di proposte smaccatamente assistenzialiste diventerebbero probabilmente carta straccia. Principalmente perché i loro costi d’attuazione striderebbero con i conti in ordine pretesi da Bruxelles. Verrebbe insomma meno la domanda iniziale del “chi paga?”: un sistema-Paese che non cresce e accusa crisi di produttività non può produrre risorse. Semmai redistribuire quelle che ci sono. Ma ciò avviene solitamente nell’interesse dei pochi e non nell’ottica della giustizia sociale. Gli errori frutto dei facili entusiasmi e dei benefici immediati, li pagherà comunque qualcuno. Ad iniziare dalle prossime generazioni.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)