OPINIONI/ L’importanza del pensiero critico

La convinzione diffusa è che le diverse agenzie che costituiscono il sistema educativo, dalla famiglia alla scuola, alle strutture ecclesiali, ai media, al web, abbiano a fondamento metodologie estremamente aperte di dialogo, confronto, ricerca e analisi sui temi affrontati.

Intanto in una società in cui il processo democratico è sempre più involuto, giacché il ruolo della popolazione è ridotto unicamente con le elezioni ormai al ruolo di convalida di decisioni verticistiche, taluni agenti del processo educativo, inseriti consciamente o inconsapevolmente negli schemi ideologici dominanti e nei principi di vita di un individualismo esasperato, tendenzialmente, più nelle scienze sociali che in quelle naturali, tendono a trasmettere il nuovo spirito neoliberista del tempo presente che è quello dell’acquisizione della ricchezza non solo attraverso l’agonismo, ma anche con l’emarginazione e la sopraffazione dell’altro.

Il ruolo dei genitori, dei docenti, degli intellettuali, dei giornalisti, degli operatori della televisione o del Web, quando manca la libertà di pensiero e l’onestà intellettuale ma anche il rispetto per la persona del discente o del cittadino, rischia di ridursi a una cinghia di trasmissione di un sistema economico e politico che in cambio di qualche sicurezza o di risicati compensi orienta alla trasmissione di principi come la competizione, il dominio sull’altro e l’accumulazione di ricchezza piuttosto che di valori quali la parità nelle opportunità, la cooperazione e la condivisione di conoscenze, di beni materiali e immateriali.

Sistemi educativi e mezzi di comunicazione o d’intrattenimento, che mirano a distrarre dai veri problemi esistenziali e a controllare con la propaganda l’attenzione dell’opinione pubblica, diventano strumenti di trasmissione dei principi dottrinali del potere delle classi sociali dominanti.

È anche per l’assenza di protagonismo e di ruolo essenziale pressoché continuo e totale dei normali cittadini dalla scuola, dalla televisione o dagli organi di stampa che li chiamiamo di volta in volta discenti, spettatori o lettori.

Perfino sul Web l’idea di una presenza personale efficace è puramente fittizia.

Su tali questioni si esprime con estrema franchezza Noam Chomsky nel recentissimo saggio pubblicato in settembre per Piemme dal titolo “DIS-EDUCAZIONE”.

In realtà il volume, allargando l’osservazione alle politiche sociali, fa rilevare come il cosiddetto “tempo di qualità” dedicato agli aspetti creativi essenziali dell’esistenza non solo stia diminuendo sempre più, mettendo così in crisi la stessa famiglia, ma allontani le persone da una qualità accettabile del proprio vissuto.

Di errori pedagogici e didattici, suggeriti da elites di intellettuali funzionali al potere, la scuola ne ha fatti tanti.

Intanto, nonostante alcuni tentativi minimi di cambiamento, il sistema scolastico non ha una struttura organizzativa in grado di aiutare gli alunni a comprendere e vivere già al suo interno la democrazia.

Ancora oggi, soprattutto nella didattica dell’insegnamento disciplinare, la trasmissione del sapere avviene per comunicazione e memorizzazione.

L’uso del testo unico nella classe poi è funzionale ad un sistema di approccio ai dati che certo non stimola la ricerca né induce al confronto problematico.

Si continua così a insegnare proponendo l’acquisizione di teorie, idee o opinioni non solo uniche, ma spesso superate come ad esempio è accaduto nel corso degli anni su eventi storici, ideologici, sociali e perfino su assiomi relativi alle scienze naturali..

Pensiamo alla superficialità irriflessiva e priva di approfondimenti con cui si sono lasciati passare in maniera positiva concetti quantomeno dubbi come quelli concernenti il quadro strutturale di talune organizzazioni internazionali, la globalizzazione dell’economia o la flessibilità nell’organizzazione del mondo del lavoro.

Riflettiamo anche sull’incapacità di cogliere gli attacchi alla democrazia, alla libertà e all’eguaglianza da parte del mondo finanziario e di grandi aziende multinazionali che stanno illudendo di allargare gli spazi della comunicazione e della partecipazione mentre in realtà comprimono la privacy, creano ristrette fasce di popolazione ricchissime e allargano la povertà di masse enormi di popolazione che vivono di stenti o cercano speranza in un movimento migratorio anch’esso compresso da una xenofobia sempre più parafascista.

Spesso, come sostiene opportunamente Chomsky, i docenti finiscono per accettare e diventare complici delle “manipolazioni metaforiche del linguaggio” quando si fermano al livello immediato nell’uso delle parole senza svilupparne una comprensione approfondita e ragionata come oggi avviene ad esempio con espressioni quali “intervento umanitario” o “operazione di polizia” che mascherano o impediscono una lettura reale e veritiera di fenomeni o eventi che sono altra cosa rispetto a quello che tentano di trasmetterci lemmi e comunicazioni edulcorate.

Se la coscienza si addomestica e diventa un contenitore vuoto, non c’è più educazione come processo di crescita nella libertà di pensiero.

Nella soppressione della verità, allora, per non essere complici o al servizio dell’ideologia dominante, la scuola ha bisogno non di cercare consumatori passivi di dati culturali travasati nella memoria degli alunni, isolandoli dalle questioni reali con la censura d’informazioni non gradite dal potere, ma di portarli a studiare indagando.

Il primo compito è quello di coinvolgere i ragazzi in una pratica reale della democrazia sviluppando i valori della solidarietà, della collaborazione e delle pari opportunità nel gruppo classe e nella società.

In questo modo si acquisirà la capacità di dare, come sostiene molto opportunamente Bertrand Russel, “un senso al valore delle cose diverso da quello del dominio” e capace di favorire cittadinanza attiva, creatività personale, libertà e felicità individuale e collettiva.

Torna in tale direzione il grande insegnamento pedagogico di John Dewey, Paulo Freire, don Lorenzo Milani i quali, partendo dal libertarismo illuminista, hanno innovato profondamente le metodologie operative mettendo al centro dell’educazione il processo del rinvenimento e della ricerca problematica della verità.

Solo in tal modo si esce da un apprendimento meccanico e da una banale memorizzazione dei contenuti funzionali alla formazione di abilità per l’inserimento nel mondo del lavoro per cercare di guidare i ragazzi al gusto della scoperta e alla fatica del confronto e dell’elaborazione critica di principi, dati e idee.

La scuola, scrive Chomsky nel sottotitolo del saggio “DIS-EDUCAZIONE”, “ha bisogno del pensiero critico“, ma la matita spezzata posta in copertina è l’emblema metaforico di ciò che l’autore pensa sull’attuale situazione problematica del sistema scolastico.

Se le scuole, come lui sostiene, non sono luoghi democratici ma con orientamenti sempre più verticistici, è chiaro che faranno fatica a trovare metodologie e strumenti operativi adeguati.

Un’educazione libera e democratica si avrà solo se il mondo degli intellettuali che vi operano saranno in grado di contestarne gli assetti attuali e porre le basi per una libertà d’insegnamento capace di eliminare tutti gli ostacoli nella metodologia e nelle tecniche che difatti ancora frenano la costruzione del pensiero critico che è il solo argine al dogmatismo, al relativismo culturale e alla dittatura del pensiero unico.

(Umberto Berardo)