OPINIONI / La lezione di Folco Quilici

QuiliciLa scomparsa di Folco Quilici all’ospedale di Orvieto a quasi 88 anni non rappresenta un semplice fatto di cronaca. Il documentarista ferrarese, ormai romano d’adozione (aveva lo studio nel quartiere Prati), ha infatti incarnato l’esplorazione come missione umana di vita, la documentazione e la scrittura come testimonianza, la ricerca come disciplina scientifica. Insomma, ha saputo dare alla sua esistenza il senso più profondo grazie alla divulgazione culturale. Ecco perché tutti noi, sia a livello umano sia professionale, gli siamo grandi debitori.

Innanzitutto la curiosità è stata il suo motore del fare. Una lezione per ogni attività professionale. Già da ragazzo Quilici ha iniziato ad immergersi con un autorespiratore a ossigeno che gli ha permesso di perlustrare e fotografare i fondali in un periodo in cui erano davvero in pochi ad interessarsi al mondo sommerso. “Nell’arco di oltre cinquant’anni sono stato testimone del passaggio dalla ricerca dilettantesca di reperti conservati dal mare allo sviluppo di una ricerca sistematica, sempre più perfezionata, sia come tecnica sia come impostazione scientifica – ha ricordato in più occasioni. Diverse generazioni sono state testimoni dei suoi straordinari documentari, da “L’Italia vista dal cielo”, ancora oggi un cult, fino ai docufilm su mari e oceani.

Una seconda caratteristica è stato il rigore. Grazie a lui, l’archeologia subacquea è diventata una disciplina scientifica che ha arricchito la conoscenza storica mondiale, dalle rotte di Aztechi, Maya e Incas razziate dai galeoni spagnoli e portoghesi fino all’evento del treno scomparso tra i ghiacci del lago Bajkal all’inizio del secolo scorso, sulla transiberiana: la carrozza blindata racchiudeva migliaia di rubli d’oro spediti dallo zar per convincere i coreani a schierarsi contro i giapponesi. Segmenti di storia sospesi tra realtà e leggenda.

Determinante anche la tenacia. Nei viaggi in Africa Quilici ha collezionato tutte le malattie tropicali possibili, malaria compresa, e le cure gli hanno massacrato il fegato. E’ caduto con un elicottero, ha avuto più di qualche problema al cuore. Qualche anno fa, non bastasse, fu vittima di una rapina nel cuore di Roma, buttato per terra in mezzo alla strada, un braccio rotto, una spalla lesionata. Eppure dopo gli 80 anni continuava a lavorare come un ragazzo con ricerche sull’ultimo volo del gerarca Italo Balbo sull’aereo a bordo del quale c’era anche suo padre Nello o sulle vie dei pellegrini del Lazio, dall’Appia alla Francigena.

Il suo ultimo appello era per un rilancio della geografia nelle scuole, materia purtroppo sempre più trascurata. “Studiarla significa avere gli occhi aperti sul mondo, conoscere i popoli. È un antidoto al razzismo e a tutti i pregiudizi che circondano gli stranieri, gli immigrati, i diversi. Vorrei sapere quanti italiani saprebbero indicarmi correttamente, non dico il Senegal, ma la Romania sulla carta geografica – ha dichiarato nel corso di un’intervista.

Una lezione modernissima da un eterno ragazzo.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)