OPINIONI / Il carabiniere ucciso e il confine tra regole e paura

Ho atteso qualche giorno per rendere pubbliche poche riflessioni sull’omicidio a Roma del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Nonostante, ovviamente, il fatto di cronaca mi abbia particolarmente colpito sin dai primi accenni nei notiziari mattutini di venerdì 26 luglio.

Non intendo soffermarmi su ciò di cui si sta maggiormente discutendo da giorni. Cioè sui contorni poco chiari di quello che è finora emerso nella ricostruzione della vicenda.

Per sommi capi e per sensazioni, è comunque l’incertezza ad accompagnare la successione di materiali d’indagine estremamente simbolici. Mi viene in mente quella lama fatale che ha inferto undici coltellate, ma anche una pistola stranamente mancante. E ancora la maledetta droga, quella vera che fa sballare e quella fasulla fatta – a quanto si apprende – di aspirine, che avrebbe fatto sballare ancora di più la mente del presunto assassino. Eppoi il misterioso borsello con il suo ancora più arcano contenuto. Fino a quella foto che m’interroga anche sulle finalità dell’autore, oltre che sulla sua improvvisa diffusione. In fondo ho atteso qualche giorno proprio perché erano – e sono – prevedibili, probabilmente necessari, ulteriori e forse clamorosi sviluppi nelle indagini.

Vorrei, viceversa, soffermarmi su un aspetto poco esaminato che viaggia decisamente su un altro piano. Cioè sul fatto che una divisa, indossata o meno (Cerciello Rega si sarebbe presentato in borghese, ma si sarebbe dichiarato tutore dell’ordine), cioè intesa come ruolo autorevole e non solo come elemento estetico, come funzione essenziale di difesa della nostra sicurezza, della nostra socialità, delle nostre relazioni civili, della nostra democrazia, susciti sempre meno considerazione, minor rispetto, bassa deferenza da parte di tanti cittadini. Troppi.

Arrivi addirittura a provocare atti violenti di contrapposizione, quasi di sovvertimento dell’autorità, sia essa rappresentata da un tutore dell’ordine, da un agente del traffico, persino da un medico o da un professore.

E’ un discorso generale, che va oltre il fatto di cronaca di via Cossa. Dimostrando che l’insofferenza alle regole, gli abusi e i soprusi, le insensate reazioni sono atti ormai ben più diffusi degli sporadici – per quanto spesso gravi – fatti di cronaca che emergono.

Il brigadiere è stato ucciso più volte con le scritte dei NoTav, le ingiurie in Rete, le immancabili manifestazioni d’odio. E’ proprio quel sottobosco di microcriminalità dilagante, di assenza di governo, di atteggiamenti malavitosi assunti a privilegio estetico, quell’illegalità senza dighe a spaventare il comune cittadino e ad accentuare le contrapposizione e le lacerazioni sociali.

Del resto è la stessa cronaca quotidiana a dimostrarci che le punte degli iceberg si moltiplicano stagione dopo stagione. Rimanendo solo a Roma e sfogliando qualche pagina di internet, a novembre scorso sulla Casilina un 36enne ha ferito quattro poliziotti e qualche giorno dopo alla Stazione Termini altri colleghi hanno avuto la peggio a causa della reazione di un gruppo di nomadi al legittimo lavoro dei poliziotti. A maggio, nel quartiere Primavalle, altri due poliziotti sono stati aggrediti, uno addirittura con una testata, da due giovani fermati per un controllo. E via di questo passo. A poche ore di distanza dalla morte del vicebrigadiere di Somma Vesuviana, a Torino alcuni agenti di polizia sono stati accerchiati da cittadini stranieri in difesa di un nigeriano che non voleva farsi identificare.

Un tempo la “colpa” dei tutori dell’ordine era quella di essere “servi dello Stato”. Era un’accusa fortemente ideologica, specie post sessantottina, alimentata da una contrapposizione identitaria, in cui il ruolo – autoritario più che autorevole – della divisa era comunque riconosciuto e per questo combattuto.

Oggi, viceversa, quel ruolo è sempre più delegittimato, vilipeso, umiliato perché ne è disconosciuta l’autorità. E mon c’è più retroterra ideologico; c’è solo futile violenza figlia dell’iperconsumo e dell’ignoranza.

Come dar torto a colui che sostiene che chi si dimostra insofferente verso ogni regola dovrà obbedire infine a quella della paura?

(Domenico Mamone, presidente Unsic)