OPINIONI / Il 25 aprile e quel rinnovato rancore

Cosa si festeggia il 25 aprile? Ciò che genericamente è indicata come “Festa della liberazione d’Italia”, è in realtà l’anniversario del giorno in cui, nel 1945, vennero liberate Milano e Torino. Ciò anche a seguito della proclamazione – qualche giorno prima – dell’insurrezione dei territori e della condanna a morte dei gerarchi fascisti e di Benito Mussolini (sarà fucilato tre giorni dopo presso Como) da parte del Comitato di liberazione nazionale. A far parte dei vertici del Cln c’erano, tra gli altri, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani,

Si tratta, quindi, di una data convenzionale scelta nel 1949 – la guerra, infatti, continuò per qualche altro giorno fino al maggio 1945 – ma altamente simbolica. Il suo valore è strettamente connesso alla memoria di quel periodo e al veto perenne del fascismo da parte della giovane democrazia italiana.

Da allora questa ricorrenza dimostra, tuttavia, come il nostro Paese non sia mai riuscito a fare i conti pienamente con la propria storia. E come la frammentazione ideologica, caratterizzata da continue contrapposizioni, sia nel dna di questo Paese sin dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini (o di Romolo e Remo, per “restare in famiglia”).

Infatti persino oggi, a distanza di oltre settant’anni da quel periodo buio, il clima si mantiene inquieto, le polemiche si rinnovano, i toni restano accesi e soprattutto le cronache registrano gesti irriverenti, come la semidistruzione di un monumento in noce dedicato ad una partigiana, collocato soltanto qualche giorno fa a Vighignolo, vicino Milano, o le rituali polemiche per targhe commemorative aggiunte o rimosse.

La convalida dell’inconciliabilità delle due visioni in campo viene dalla natura dei protagonisti della contrapposizione: per lo più scomparsi i testimoni diretti di quelle ormai lontane stagioni, a rinnovare la pregiudiziale antifascista nelle sezioni dell’Anpi, la storica associazione dei partigiani, sono soprattutto i giovani dei centri sociali, mentre a dichiararsi sostenitori e “continuatori” del fascismo sono spesso ragazzini minorenni dell’estrema destra.

Insomma il 25 aprile conferma – spesso accentua – la mancanza di una percezione armonica, unitaria, nazionale nel nostro rapporto con la memoria storica, ripresentandosi ogni anno come una costante occasione persa in termini di “normalizzazione”, qualcuno direbbe di “riappacificazione”, tra ideologie opposte e, obiettivamente, incompatibili.

In questa insanabile frattura, di cui non è facile individuare con esattezza le cause, è però possibile accertare precise responsabilità tanto in ambienti di sinistra quanto di destra.

A sinistra una certa retorica ha voluto imporre il monopolio ideologico a questa ricorrenza, disinteressandosi del carattere collettivo della lotta di liberazione, che ha coinvolto anche forze cattoliche, liberali, persino monarchiche. Ciò ha contribuito a trasformare un momento di celebrazione in una sorta di livorosa resa dei conti. Qualche anno fa esplose, ad esempio, una dura polemica – in un pesante e inaccettabile clima di intimidazione – sulla partecipazione alla manifestazione del 25 aprile della brigata ebraica, cioè proprio dell’etnia che ha pagato il contributo più drammatico all’ideologia nazifascista.

Parallelamente la destra attuale, in particolare la Lega, dovrebbe con chiarezza prendere le distanze da certe formazioni politiche giovanili nostalgiche del Ventennio.

La memoria oggettiva, obiettiva, attiva, capace di consegnarci segni e significati, dovrebbe essere insomma vera metafora di vita. Cioè costituire il vaccino necessario per preservare dal ripetersi di errori ed orrori del passato.

(Domenico Mamone – presidente Unsic)