Metro C: l’occasione mancata di via La Spezia


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ViaLaSpeziaUn tempo del nostro Paese si diceva che fosse patria di buon gusto e di creatività. Forse era una retaggio del Rinascimento toscano, ma di certo, guardando come vengono risistemate le aree già soggette a cantieri, c’è da mettersi le mani nei capelli. Anche perché lo scadimento del gusto porta all’assuefazione verso il brutto, cioè al non accorgersi di come l’arredo urbano sia sempre più discutibile sia sul piano della qualità sia su quello dell’estetica.

Si prenda il tratto di via La Spezia tra piazza Camerino e via Monza. Quello interessato dall’apertura della stazione della metropolitana di Lodi, che poi non si capisce perché si chiami così dal momento che le uscite sono a via Foligno e a via Orvieto, quindi a qualche centinaio di metri dalla piazza. Bene, anzi male, perché quando guardiamo quel tratto di strada, un tempo bellissimo grazie principalmente ai grandi alberi e ad edifici architettonicamente belli, ci sembra di essere in un aeroporto. Sì, perché quel tratto di strada è il classico “non luogo” coniato dal sociologo Marc Augè. Cioè un posto privo di anima, di presupposti per alimentare relazioni umane, di armonia.

Eppure quel paio di interventi, davvero minimalisti, per aggregare persone avrebbero dovuto insegnare qualcosa. Uno è precedente ai cantieri della metropolitana: si tratta di quel minuscolo giardinetto – definirlo così è davvero un affronto al Creato – realizzato al centro di piazza Camerino. Ci sono due cespugli, una fontanella e qualche panchina. Eppure la gente lo adora, si ferma lì, si legge il giornale, si riposa, aspetta un autobus, gioca con il cane. Nonostante, di fatto, sia quasi in mezzo ad una strada, quindi non certo un luogo ideale per respirare ossigeno.

L’altro intervento, esteticamente più brutto – quasi uno stile cimiteriale – ma certamente funzionale, è la pedonalizzazione del tratto finale di via Orvieto, con chiusura al traffico nello sbocco su via La Spezia. Pochi metri quadrati arredati con travertino, panchine di pietra, uno spiazzo. Serve a poco, in fondo, ma è un luogo simbolico di pedonalizzazione, una sorta di spazio cuscinetto in grado anche di attutire i rumori.

Ma via La Spezia resta degradata, nonostante i materiali siano nuovi di zecca. Ma nuovo non equivale sempre a incantevole. Anzi. La strada, nella sua freddezza lineare, è circondata dai “regali” offerti dalla metro (scale mobili, sfiatatoi, ridicoli spazi verdi, grate di scolo per l’acqua poste proprio al centro del marciapiede). Un “arredamento” ostentato anziché nascosto. Sembra davvero una pista di aeroporto, tra l’altro avulsa dal contesto di inizio Novecento. C’è una diffusa mancanza di armonia, di gusto, forse anche di programmazione coordinata. Di certo l’apertura della fermata di Lodi è stata un’occasione mancata per riqualificare e rilanciare un’area desertificata dalla lunghezza dei cantieri, per restituirla ad antichi splendori, per accrescere la vivibilità di un quartiere duramente provato da scavi, spesso inutili, come quelli per i box privati interrati. Invece tutto è lasciato all’incuria, ai cartelloni pubblicitari spesso abusivi, ai capricci dei graffitari, alla mancanza di manutenzione e di controllo, alle strisce pedonali che si sbiadiscono.

C’è da chiedersi cosa succederà quando (quando?) aprirà la stazione San Giovanni. Via La Spezia tornerà ad essere autostrada, oltre che pista di aeroporto? Tornerà la viabilità ordinaria in entrambi i sensi di marcia, tanto per assecondare l’unica categoria che oggi sta a cuore ai “progettisti”, cioè quella degli automobilisti? E i residenti che si sono sorbiti dieci anni di cantieri?