Libri / Clima ed emigrazione, binomio sempre più attuale

Per approfondire questo tema, la cui portata non sempre è colta in modo sistematico dalla maggior parte dei cittadini, è utile sfogliare un piccolo ma esaustivo libro – “un modesto strumento divulgativo” lo definisce con frugalità l’autore, Mauro Scarpellini. Il testo è denominato con estrema linearità “Clima e emigrazione. Un promemoria per i disattenti”, edito da Morphema (56 pagine, 10 euro).

Questa vera e propria guida ad una delle principali cause delle migrazioni – i disastri ambientali che avvengono principalmente nei territori del terzo mondoe che chiamano a precise responsabilità l’occidente – si apre con la sintetica ma esauriente illustrazione dello scenario sul clima. L’effetto serra, l’innalzamento delle acque marine, la fusione dei ghiacciai montani, la siccità e le desertificazioni sono i principali fenomeni analizzati in specifici paragrafi con dovizia di informazioni raccolte da fonti autorevoli.

Per l’effetto serra, ad esempio, sorprende sapere che “il metano ha un potere calorifero di circa 25 volte quello dell’anidride carbonica” e viene liberato in grandi quantità dal permafrost (permanent frost), la parte di terra congelata dall’ultima glaciazione. Più aumentano le temperature e più cresce questa nociva emissione, che insieme all’anidride carbonica contribuisce a determinare il noto “effetto serra”.

La perdita di vitalità di numerose aree geografiche sta provocando conseguenze nefaste su più fronti. Innanzitutto sull’agricoltura e sul lavoro, determinando di conseguenza l’abbandono delle terre e migrazioni forzate di interi villaggi, specie dall’Africa. In secondo luogo sulla serenità sociale delle comunità locali: il libro di Scarpellini ricorda che il Centro studi tedesco “Adelphi” ha individuato ben 79conflitti armati nel mondo con cause climatiche.

La guerra civile in Siria deriva proprio dallo sfruttamento notevole delle risorse naturali e in particolare dell’acqua per intensificare la produzione del cotone, del frumento e della barbabietola da zucchero. Ciò ha determinato, dal 2007 al 2010, una siccità drammatica, con la fuga di un milione e mezzo di persone dalle campagne alle città e le prime rivolte popolari. Del resto anche la cosiddetta “primavera araba” ha avuto origine dai moti popolari per l’aumento dei prezzi del grano e del pane. Situazione analoghe sono presenti in tutto il mondo, in particolare in Africa: emblematica la riduzione del lago Ciad al centro del Sahel, passato dai 28mila chilometri quadrati dell’Ottocento agli attuali 1.400 in una delle zone che alimenta maggiormente i traffici di “carne umana” dalla Libia al vecchio continente.

Il libro si sofferma anche sull’Egitto, dove la crescente salinizzazione del Nilo a causa della crescita del livello del mare potrebbe determinare un crollo dell’economia e aprire la strada a nuove migrazioni di massa. Dolorosa la situazione del Bangladesh, che nel 2040 potrebbe avere oltre dieci milioni di sfollati interni, mentre l’emigrazione ne ha portati già oltre 120mila solo in Italia.

Ma il nesso tra “clima e emigrazione” tocca anche le isole più rinomate per i flussi turistici: le Fiji, le Maldive, le Seychelles, le Salomone, Palau sono tutte in pericolo per l’innalzamento del livello del mare.

Quindi che fare, si domanda lo stesso Scarpellini. “Se l’occidente e soprattutto l’Europa avessero aiutato i paesi in via di sviluppo a svilupparsi in modo appropriato, le crisi di quei paesi sarebbero state fronteggiate con minori conseguenze di impoverimento e di migrazione – scrive l’autore. “Il paese che inaridisce, se ha avuto un suo sviluppo pur parziale, impara a conservare l’acqua piovana; si attrezza per desalinizzare l’acqua marina; non disbosca né brucia gli arbusti aumentando la desertificazione; cattura l’energia solare per produrre l’elettricità e così via”.

Certo, come ben evidenzia Scarpellini, l’elezione di Trump non aiuta la causa ambientale. E la globalizzazione costruita sullo sfruttamento delle risorse naturali e autoalimentata nell’interesse dei poteri forti, compresa l’industria delle armi, non può certo dimostrare sensibilità al problema del pianeta malato. Basterebbe applicare seriamente i tanti protocolli – da Kyoto a Parigi, da Marrakesh a Bonn – per avere qualche risultato concreto.

A chiusura del libro, l’autore si sofferma su un originale e sconosciuto fenomeno storico accaduto in Umbria, la regione dove vive. Scarpellini rivela le conseguenze del cambiamento climatico accentuatosi tra il Cinquecento e il Seicento nella zona del lago Trasimeno, che determinò la riduzione di due terzi dei residenti. Quindi attenzione ai ricorsi storici.

(Giampiero Castellotti)