La storia di piazza San Giovanni, tra sacralità, relazioni sociali e tensioni

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PiazzeInPiazza (copertina)L’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista. A porgerlo, quel 13 giugno 1984, è una piazza San Giovanni piena di pugni chiusi e di segni della croce. Vent’anni prima, il 25 agosto 1964, analoga atmosfera per il feretro di Palmiro Togliatti. Poi altri funerali “di popolo” nella basilica romana per eccellenza, da Eduardo De Filippo ad Alberto Sordi.
Sono soltanto alcuni dei numerosi richiami storici legati al Laterano, che il giornalista Giampiero Castellotti, romano proprio di San Giovanni, compie nel suo ultimo libro “Piazze in piazza” edito dall’editrice SPedizioni di Roma, con la prefazione del sociologo Giuseppe De Rita, presidente del Censis e un poemetto di Pasquale Panella, tra i più celebrati poeti contemporanei, autore dei testi degli ultimi cinque album di Lucio Battisti.
Castellotti “adotta” questa piazza come uno dei più significativi contenitori di socialità del nostro Paese, tra manifestazioni religiose ed eventi laici. Tanto da dedicare alla storia di San Giovanni uno dei trenta capitoli del volume. Perché in effetti piazza San Giovanni in Laterano è il luogo simbolico, per antonomasia, di un percorso segnato – come sottolinea l’autore – da “un sagrato cattolico che, per un’incongruenza tutta romana, da ‘città aperta’, è il più importante contenitore laico. Affascinante teatro scoperto, con sovrani e sudditi, dove i grandi eventi, religiosi e civili, sacri e profani, ordinati o disordinati, muti o chiassosi, costruiscono da secoli le identità collettive, rinnovando i riti confessionali, ma anche secolarizzando l’uso dello spazio pubblico”.
Nello scorrere dei capitoli del libro, con la storia della piazza dall’agorà e dal foro fino alle scenografie rinascimentali e agli abbandoni della modernità, il capitolo su San Giovanni ridà vita, con estrema freschezza, alle grandi manifestazioni sindacali e di sinistra degli anni Sessanta e Settanta, ai metalmeccanici della Fiom, al Pci, all’antagonismo, ai popoli dei referendum. Dove “la gente si dichiara, si schiera, si conta”, come evidenzia l’autore, e “la minoranza del Paese diventa maggioranza in piazza, tenendo in piedi le speranze di poterlo diventare anche nei Palazzi”. Un percorso politico che include anche “lo scippo” del 1996, quando su questo sagrato avviene la prima manifestazione di massa del centrodestra di Berlusconi, Fini, Bossi e Buttiglione: il giornalista Corrado Stajano li chiama “i moderati d’assalto”. E nel 2013 è sempre questa piazza a “consacrare” la sfida muscolare di Beppe Grillo a Pier Luigi Bersani.
Certo, il libro non può trascurare la crisi della piazza contemporanea, spesso svuotata di materialità e centralità dalle nuove piazze immateriali della Rete o dal proliferare dei “non luoghi”, dai centri commerciali ai ghetti dell’ipermodernità. Ma, nonostante lo svilimento causato dalla mobilità di superficie e sotterranea – San Giovanni resta un simbolo attualissimo dell’offesa urbanistica conseguente alla metro C – l’autore estrapola da questo spazio l’eterna attualità sociale di un’Italia guelfa e ghibellina: da una parte il costante presidio religioso dalle diverse sfumature, tra Corpus Domini, beatificazioni, l’esposizione della Madonna di Fatima, le aperture degli Anni della gioventù, le feste dei popoli, i Family Day, i funerali di preti-coraggio, come don Andrea Santoro; dall’altra le feste politiche, il megaconcerto sindacale del primo maggio, il Gay Pride, San Francesco vestito di giallorosso per lo scudetto della Roma, fino alla profanazione dei “black bloc” nel 2011.
“San Giovanni è, dunque, frutto ed emblema di una stratificazione sociale che si perde e si rinnova nel tempo – scrive Castellotti. “Qui, dove oggi l’edilizia benestante s’alterna con quella popolare, dove l’incessante mercato turistico convive con gli improvvisati mercatini degli immigrati, dove i giardini raccolgono ricca e variegata umanità spesso alle prese con bivacchi o con lo scambio di notizie più o meno importanti, oltre duemila anni fa già si ergevano case umili e palazzi blasonati, parchi e acquedotti, botteghe più o meno affermate, caserme e luoghi ricreativi, simboli civili e religiosi”. Insomma San Giovanni continua a vivere intensamente il suo ruolo sociale.
Chiosa De Rita, legatissimo a San Giovanni dove ha vissuto i primi trent’anni di vita: “L’Italia è un Paese che si riconosce nelle proprie piazze, sia per i moti popolari che le percorrono ed occupano come per la volontà di regolare le istituzioni facendo riferimento alla loro eleganza architettonica. Citando Bobbio, lo stesso nostro linguaggio è ricco di riferimenti alla piazza (mettere in piazza, scendere in piazza, movimenti di piazza, fare piazza pulita, contrapporre la piazza) quasi a certificare che la nostra storia è fatta di una dialettica fra potere e contropotere giuocata sui territori urbani. E se per un lungo periodo la piazza fu il terminale della relazionalità nell’Italia industriale e quindi anche dell’azione politica di massa (dal Pci di Togliatti alla Coldiretti di Bonomi) alla fine essa fu svuotata progressivamente, man mano che si affermò l’Italia del soggettivismo dispiegato e del fai da te, in ogni realtà socioeconomica. E così oggi che il ciclo del soggettivismo ha il fiatone, torna una domanda di relazionalità che si esprime anche nelle tante nuove piazze, da quelle degli outlet riutilizzati da giovani della periferia e dagli anziani a quelle virtuali dei social network. Così anche la politica ritrova nuove piazze, incluse quelle virtuali come espressione della nuova domanda di relazionalità”.
Scrive Panella: “E l’assisano con le braccia aperte sta a significare quanto e tanto tanto sia spettacolosa Piazza San Giovanni in Laterano, a Roma. Statua lui, statue i santi, quindici, di marmo, barocchi, coi loro occhi di statua come monito e memento che (“ti guardiamo”) polvere di stelle sei e polvere di stelle ritornerai, tu – sotto i nostri occhi di marmo – spettatore, tu popolo nella piazza, che è di chi la fa e di chi l’aspetta (la prossima, politica, papale, sindacale, lo scudetto) e di chi la lascia, la piazza, traboccante d’addii (dopo più di duemila anni d’umanità trascorsa)”.