LA NOTA / E’ giusta la scelta della Rai di inserire la dislessia in “Medicina Tg1”?

La dislessia non è una patologia né una malattia. Infatti non si cura. E’ soltanto un modo di essere, una condizione con difficoltà di apprendimento accentuate principalmente da un contesto che non si adatta allo status del dislessico.

Lo ripetono in continuazione gli esperti e lo hanno fatto anche nel corso della videochat promossa dal sito internet del Tg1 giovedì 11 aprile 2019: “Non è una patologia, è solo come avere il colore degli occhi un po’ più chiaro – ha evidenziato Riccardo Alessandrelli, neuropsichiatra infantile dell’Università di Chieti.

Insomma, se è vero che ad occuparsi di dislessia è soprattutto la neuropsichiatria, branca della medicina (sebbene molti polemizzano con la scelta di condurre il tutto nell’imbuto della salute mentale), è altrettanto vero che associare semplicisticamente lo status di dislessico alla scienza che cura le malattie e allevia le sofferenze dei malati è discutibile. Eppure la Rai l’ha fatto, inserendo il tema della dislessia nella videochat della rubrica “Medicina Tg1”, annunciata anche nel corso del telegiornale.

Se la condizione del dislessico viene rubricata dalla Rai in una videochat che tratta abitualmente malattie e affezioni, così facendo si annullano anni di studi, di sforzi e di campagne sociali per ribadire che la dislessia non ha nulla da spartire con patologie, infermità o malanni.

Aggregare la dislessia al termine generico di ‘medicina’ potrebbe essere altamente deleterio. Certo, lo ribadiamo, è vero che questa materia investe principalmente la neuropsichiatria. Ma le difficoltà psicologiche legate a questo status, che include circa tre persone su cento, derivano principalmente dall’ambiente, cioè da una didattica poco flessibile nell’adeguare metodologie, nel promuovere strumenti di compensazione, nel ricorrere a software di supporto. Le principali conseguenze negative di uno status più raro ma non insalubre derivano proprio dall’ambiente impreparato e da scelte discutibili come quella di includere la dislessia nella categoria dei ‘disturbi’ o delle ‘patologie’: sono proprio questi abbagli ad accentuare calo di autostima e frustrazione nei dislessici, trasformando una condizione più rara in un vero e proprio (e inutile) disturbo.

Forse la legge 170 del 2010, che garantisce i diritti dei “Dsa”, dovrebbe essere letta anche e soprattutto con questa chiave.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’immagine utilizzata dalla videochat del Tg1 per elencare dislessici famosi, da Picasso ad Einstein, da Cassius Clay a Mika.