Inpgi: per i giornalisti precari salasso contributivo?

LaPresse 06-04-2011 Milano Cronaca Tribunale di Milano, prima udienza del processo a Berlusconi per il caso Ruby Nella foto: folla di giornalisti fuori dal tribunaleLaPresse 06-04-2011 Milan, Italy News Milan Court, first day for the Berlusconi trial, Rugy gate. In the pic: media outside the court

Mentre numerose associazioni di precari conducono battaglie per la riduzione delle percentuali di versamento obbligatorio all’Inps destinato ad una previdenza futura spesso da fame, l’Inpgi, l’ente previdenziale dei giornalisti, pensa bene di aumentare quelle percentuali (a carico per lo più di collaboratori precari) per – come scrive con toni trionfanti nella sua newsletter del 14 settembre 2017 (“pillola indorata”) – garantire “PENSIONI PIU’ ALTE DEL 30% E MAGGIORI TUTELE DI WELFARE”. Qualche sito on-line copia-incolla diligentemente il titolo (“Inpgi 2: più tutele e pensioni più alte del 30%”) senza un minino approfondimento. Grande giornalismo.

La premessa è d’obbligo. Il mondo del giornalismo, un tempo uno dei più garantiti per i circa 10mila giornalisti professionisti (di allora) con stipendi e pensioni più che dignitose (occupati soprattutto in Rai), oggi è un bacino che raccoglie decine di migliaia di precari, spesso con collaborazioni da cinque euro al pezzo, cioè ad articolo. E’ stato soprattutto internet a sconvolgere le carte in tavola, falcidiando diritti e compensi. La distanza tra i due gruppi di lavoratori è sempre più abissale: il primo (circa un terzo del totale) anno dopo anno si assottiglia, mentre il secondo è in rapida crescita (al 66 per cento).

Circa vent’anni fa i due gruppi hanno trovato una demarcazione netta: il canale dei supergarantiti è l’Inpgi 1, cioè quello dei dipendenti; l’Inpgi 2 è quello dei collaboratori, per lo più precari. Tra i due gruppi la differenza di reddito è abissale: 60.736 euro lordi medi annui per i dipendenti contro 11.241 dei precari, con otto lavoratori autonomi su dieci (l’82,7 per cento) che dichiarano redditi inferiori a 10mila euro all’anno (dati Lsdi). E mentre sono i datori di lavoro a pagare i contributi per i primi, i precari se li devono pagare da soli, decurtando il loro già misero gruzzoletto.

Tutto ciò sta avvenendo in un quadro paradossale. Se dal 2011 al 2015 i nove maggiori gruppi editoriali italiani hanno perso il 32,6 per cento del fatturato (-1,8 miliardi), cumulato perdite nette per 2 miliardi e ridotto la forza lavoro di oltre 4.500 unità (dati Mediobanca), nello stesso periodo di crisi ma in un arco temporale più allargato (dal 2007 al 2014) l’istituto di previdenza dei giornalisti ha pensato bene di aumentare i costi per il proprio personale di quasi il 30 per cento (fonte: unitasindacalefnsi.it) e nello stesso periodo le consulenze sono quasi triplicate (fonte: Daniela Stigliano, Giunta esecutiva Fnsi). Nonostante l’Inpgi, uno degli ultimi istituti privati di previdenza, viva da anni una forte crisi, con un carico pensionistico crescente per gli ultimi garantiti ed una preoccupante decrescita generale del settore. Sul fronte dei precari, aumentano addirittura le dichiarazioni a redditi zero degli iscritti all’Inpgi2, mentre il 56 per cento dei Cococo dichiara meno di cinquemila euro all’anno.

Non c’è allora da stupirsi se oltre la metà degli iscritti all’Ordine dei giornalisti sia sconosciuta alle maglie dell’Inpgi: ben 54.402 lavoratori sui 105.076 giornalisti totali, dato aggiornato al 31 settembre 2015. Molti rimangono alla larga dall’ente di previdenza perché conoscono storie non certo esaltanti di molti iscritti: più di un precario iscritto all’Inpgi2, a fronte di una lontanissima pensione da fame, si vede sottratto dal proprio sudato gruzzoletto il 12 per cento (in attesa delle percentuali in discutibile aumento) e una tassa fissa per la maternità (40 euro lo scorso anno), oltre alle marche da bollo per le notule (anche 20-30 euro l’anno). Più onerosissime more in caso di ritardi nei numerosi appuntamenti con dichiarazioni e pagamenti di ogni genere.

C’è di più: soltanto per riavere in forma di pensione quanto versato, deve vivere almeno 23 anni da pensionati, cioè arrivare a 90 anni. Non sarebbe allora più giusto disporre liberamente dei propri soldi anziché doverli parcheggiare in un istituto non certo amato da molti di quei precari costretti a lasciarci in affidamento una fetta dei propri guadagni, anche perché spesso sotto la lente della magistratura (e ciò non fa dormire sonni tranquilli)?

Un’auspicata, concreta, solidale e apprezzata operazione dell’Inpgi potrebbe essere quella di avvicinare e armonizzare le due realtà Inpgi1 e Inpgi2, ad esempio aumentando le rivalutazione dei montanti per i secondi. Ma in via Nizza, sede dell’istituto che potrebbe finire presto nel calderone dell’Inps, più di qualcuno fa orecchie da mercante.

(Unsic)