Eccellenze di zona: il Museo nazionale di arte orientale

VasoDal 1 settembre 2016 il Museo nazionale d’arte orientale di via Merulana 248, tra i più importanti a livello europeo, è entrato a far parte del “Museo delle Civiltà”, istituito dall’articolo 6 del decreto ministeriale 23 gennaio 2016, numero 44, sotto la direzione ad interim del professor Leandro Ventura.

Tra i musei di zona tra San Giovanni e Santa Maria Maggiore, merita certamente una visita questo museo istituito nel 1957, aperto al pubblico l’anno seguente, e intitolato a Giuseppe Tucci (1894-1984), uno fra i massimi orientalisti del Novecento, che ne ha promosso la fondazione.

Il museo, tra l’altro, è ospitato nello splendido palazzo nobiliare Brancaccio di origine settecentesca, già bene delle suore Clarisse Francescane di Santa Maria della Purificazione ai Monti (con convento poi demolito), quindi passato al demanio comunale con la soppressione delle congregazioni religiose dopo l’unità d’Italia, infine acquistato nel 1879 dall’americana Mary Elizabeth Bradhurst Field, moglie del principe Salvatore Brancaccio. Questa lo trasformò nell’attuale dimora gentilizia, con interventi di Gaetano Koch (dal 1879 al 1883), Luca Carimini (dal 1886 al 1890) e Rodolfo Buti e Carlo Sacconi (dal 1893 al 1922).

Al primo piano si trovava l’appartamento dei principi Salvatore ed Elizabeth Brancaccio mentre i coniugi Hickson e Mary Elizabeth Bradhurst Field, genitori della principessa, occupavano l’intero secondo piano. Il pittore romano Francesco Gai (1835-1917) vi ha lasciato alcune sue opere.

Con la morte del principe Salvatore Brancaccio (1924), la struttura andò incontro alla decadenza, attraverso molteplici frazionamenti, fino alla destinazione a museo. Importanti lavori di ristrutturazione sono stati compiuti tra il 1992 e il 1994.

Ampia l’offerta di testimonianze orientali, che vanno dal Vicino e Medio Oriente al Tibet, dal Nepal all’India, dalla Cina al Giappone fino alla Corea. Con il tempo le collezioni si sono ulteriormente arricchite.

Inizialmente erano rappresentati soprattutto, l’Iran, il Pakistan, l’Afghanistan, il Tibet, il Nepal, l’India. Poi sono giunti altri importanti oggetti, tra cui una raccolta di sigilli cilindrici di epoche ed aree diverse del Vicino Oriente (collezione Pugliatti), alcuni oggetti di area siriana e libanese: una bella coppa in pietra alabastrina, con testine di leone sporgenti (Siria III millennio a.C.), un incensiere in pietra (Siria, I millennio), due ampolle per profumo in alabastro (Libano, I millennio a.C.) e una piccola scelta, in prestito al Museo, di frammenti di ceramica di Ebla, potente città della Siria settentrionale del III e II millennio a. C., scavata da una missione archeologica dell’Università di Roma “La Sapienza”, diretta da Paolo Matthiae. Una recente acquisizione (collezione Foglino) permette di allargare la documentazione all’Anatolia, con due vasi e una figurina dipinti di Età Neolitica (VI millennio a.C.), un vaso dell’Età del Bronzo (III millennio a.C.).

Il dramma che sta vivendo la Siria, con la distruzione di gran parte dello straordinario patrimonio archeologico, rende ancora più preziosa l’opera di conservazione attuata dal museo “Tucci”.

Da segnalare anche la collezione Vannini-Caggiati, acquisita nel 1999, con ceramiche iraniche dell’Età del Ferro, metalli databili tra il III e il I millennio a.C. provenienti, oltre che dall’Iran, da Transcaucasia, Caucaso, Mesopotamia e costa siriana.

Per quanto riguarda le diverse culture che si svilupparono nell’Altopiano iranico, il museo ospita una raccolta di vasi per la maggior parte dipinti a motivi animalistici o geometrici, datati dal V al III millennio a.C..: una grande ciotola dipinta in nero su rosso arancio e bicchieri e calici decorati in pittura bruna su fondo beige con figure di felini maculati, cervi, uccelli rapaci, associati a motivi geometrici, proviene dall’area di Tepe Siyalk, nell’Iran settentrionale (V-IV millennio a.C.); dall’area di Tepe Giyan, nel Luristan, vengono una grande urna cineraria dipinta con figure di volatili stilizzati e motivi geometrici (seconda metà del III millennio a.C.), e alcuni vasetti tripodi fittamente decorati a reticolo (prima metà del II millennio a.C.); dalla regione di Kerman, nell’Iran sud-orientale un altro gruppo di tre vasi decorati.

La metallurgia dell’Altopiano è documentata da oggetti in rame, bronzo e ferro come asce, lame, punte di lancia e di freccia, ornamenti, insegne o bastoni di comando, oggetti da toeletta, e recipienti, databili al III, II e I millennio a.C., dall’Iran nord occidentale e occidentale.

Non mancano oggetti di gioielleria iraniana e reperti dello scavo di Shahr-i Sokhta (3150-1800/1700 a.C. ca), nel Sistan (Iran orientale), il cui nome in persiano significa “città bruciata”.

Da qualche anno le collezioni del museo si stanno allargando anche all’Asia centrale, in seguito all’acquisto di una collezione di oggetti dall’Afghanistan (Collezione Olivetti, 2001). Tra le ultime acquisizioni (Donazioni Romiti), anche reperti della civiltà dell’Indo, la prima e più importante cultura urbana sviluppatasi tra il 2600/2400 e il 1900/1800 a.C. nella valle di questo grande fiume, che attraversa il Pakistan.

La sezione “Periodo del ferro” presenta  una campionatura di oggetti provenienti sia dal Vicino Oriente sia dall’Altopiano iranico. Il carattere regionale della produzione artistica di questo periodo è sottolineata da una divisione del materiale per aree geografiche (Gilan e Mazandaran, Urartu, Elam, Luristan), evidenziando così le diverse fabbriche. Sono rappresentati tutti e tre i Periodi del ferro, fino al VI secolo a. C. Tra le produzioni più originali possiamo includere la ricca gamma di bardature per cavalli, comprendenti morsi con piastre guanciali di forma animale, anelli passabriglie campanacci.

Particolarmente importanti nell’ambito della raccolta iranica sono due manufatti  provenienti rispettivamente dal centro urbano di Susa, capitale dell’Elam e dal santuario panelemico di Choga Z.anbil. Si tratta di una figurina in terracotta raffigurante una dea che si stringe i seni, probabilmente Manzat la dea della pinguedine. Il secondo oggetto invece, è un pomello in terracotta invetriata, decorato con il nome del fondatore del santuario  panelamico, il sovrano Untash Napirisha, in origine rinvenuto in un magazzino della ziqqurat (torre alta) di Choga Zanbil.

Più recenti le testimonianze degli Achemenidi, discendenti di Achemene, legati al primo grande impero iranico, poi conquistato nel 331 a.C. da Alessandro Magno. L’arte è influenzata da elementi iranici, nomadici, mesopotamici, egiziani e greco-ionici. Alla morte di Alessandro nel 323 a.C., il generale macedone Seleuco I (312-280 a.C.) ottenne la porzione orientale del vasto impero (Siria, Mesopotamia e Iran), fondando la dinastia dei Seleucidi sconfitti nel 247 a.C. dai Parti. L’arte del periodo, seppure sostanzialmente ellenistica, appare tuttavia caratterizzata dalla coesistenza della tradizione greca e di quella orientale.

Passando alla sezione islamica, la collezione comprende oggetti di Spagna, Egitto, Turchia, Iraq, Iran, Afghanistan, Asia Centrale, India. Da segnalare la selezione dai reperti archeologici provenienti dal palazzo del Sultano ghaznavide Mas‘ud III (1099-1115) a Ghazni (Afghanistan), opere dall’Iran databili dall’VIII al XIX secolo, ceramica samanide (IX-X secolo) e selgiuchide (XI-XII secolo). Gran parte degli oggetti in metallo della raccolta islamica sono afferenti alla regione del Khorasan (Iran orientale, Afghanistan occidentale), famoso centro di produzione metallurgica e appartengono ad un periodo compreso tra il X e il XIII secolo. Una piccola sezione è dedicata alla numismatica islamica che comprende una raccolta di monete (dal VIII al XX secolo).

Un’altra sezione riguarda il Gandhara (tra il I e il IV-V secolo d.C.), territorio corrispondente all’attuale Pakistan e a parte dell’Afghanistan, con influssi classici (ellenistico-romani), indiani, iranici e centroasiatici. L’arte gandharica è, soprattutto durante la prima fase del suo sviluppo, un’arte narrativa. Vi sono raffigurati gli eventi della vita del Buddha.

Un’altra sezione riguarda Tibet e Nepal, per lo più costituita da dipinti arrotolabili su stoffa, statue in lega metallica, cretule votive, affreschi, suppellettili e oggetti rituali, oltre a gioielli e a parti di mobili.

Altra protagonista è l’India. Un primo nucleo è dedicato alla religiosità hindu e alle sue figure divine principali – Shiva, Vishnu e la Devi -, ai fenomeni dell’ascesi e del tantra e alla rivisitazione che questo pensiero religioso riceve nell’ambito dell’arte popolare. Emblema di Shiva per eccellenza è il linga (simbolo fallico). La maggior parte delle opere connesse alla figura di Vishnu è ispirata alla dottrina degli avatara (manifestazione sulla terra di una divinità). Si segnalano sculture e bronzi che ritraggono alcune “discese” della divinità, o dipinti e miniature che raffigurano le vicende di Rama e Krishna, temi che hanno avuto una lunga tradizione figurativa e che rappresentano i soggetti preferiti dall’arte popolare vishnuita. Nell’ambito di una sezione dedicata al villaggio sono esposti manufatti più specificatamente rurali e tribali.

Nella sala VII sono esposte a rotazione opere di pittura e grafica provenienti da Cina, Corea e Giappone; si tratta della più alta forma d’arte dell’Oriente Estremo, di cui il museo possiede esempi di diverso stile e soggetto che datano, per la maggior parte, ai secoli XVII-XIX. A partire dalla sala XI, e fino alla sala XV, si snoda il percorso che illustra l’archeologia e l’arte cinese. Sono esposti alcuni esempi di ceramiche funerarie: dai vasi dipinti della cultura neolitica Majiayao (ca. 3500-1800 a.C.) (Cina occidentale) ai vasi e oggetti di sostituzione in ceramica a vetrina piombifera della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.). Due rilevanti esempi dell’originale arte plastica a destinazione funeraria – una base figurata di ispirazione taoista e un “cantastorie” – fiorita nella regione del Bacino del Sichuan (Cina occidentale) tra il secolo II a.C. e il secolo III d.C. sono esposti nella piccola sala XII. Le due sale successive sono dedicate all’arte buddhista. Nella sala XV, infine, sono esposti i rari vasi cinesi di ceramica e gres invetriato dal secolo II a.C. ai secoli VI-VII d.C.; le statuine funerarie di terracotta smaltata “a tre colori” della dinastia Tang (618-907) e i manufatti di porcellana delle dinastie Song (960-1279), Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911). In questa sala sono anche esposti, a rotazione, gli oggetti d’arte di fattura cinese (dal secolo V ca. a.C. al secolo XIX). In questa sala è anche parzialmente esposto un nucleo di rarissime ceramiche invetriate che illustrano l’arte dei vasai del Vietnam settentrionale tra il XI e il XVI secolo.