DOPOELEZIONI / Sardegna, il giorno del giudizio

SolinasIl centrodestra si prende anche la Sardegna e continua il suo lungo momento d’oro nelle sfide regionali strappando territori governati negli ultimi anni dal centrosinistra. Da Nord a Sud. Dopo il trionfo abruzzese, soltanto qualche giorno fa, ecco la volta della Sardegna. Con risultati che smentiscono persino gli exit poll che assicuravano un testa a testa tra il neogovernatore Christian Solinas, candidato della coalizione di centrodestra, e il suo principale sfidante, Massimo Zedda, stimato sindaco di Cagliari, rimasto in realtà molto indietro.

Al di là dell’ennesima vittoria del centrodestra a trazione leghista, la prova elettorale conferma le tendenze in atto da tempo.

Tra gli sconfitti ormai “cronici”, quelli sul lungo periodo, primeggiano il Partito democratico e Forza Italia. Probabilmente perché associati, nella “narrazione” percepita dall’elettorato, alla duratura stagione governativa non proprio esaltante delle precedenti legislature. Oltre che da quel nefasto “Patto del Nazareno” sulle riforme istituzionali.

I due partiti emblemi del renzismo e del berlusconismo continuano il forte calo percentuale: i democratici, che cinque anni fa in Sardegna raccoglievano il 22 per cento dei consensi, scesi poi al 14,8 delle politiche, oggi si fermano intorno al 13 per cento, mentre il partito di Berlusconi, che cinque anni fa era al 18,2 e alle politiche era sceso al 14,8, in un anno ha più che dimezzato la percentuale scendendo intorno all’8 per cento.

Ma il calo più significativo che fuoriesce dalle urne sarde è rappresentato dall’ulteriore crollo del Movimento Cinque Stelle, ormai un motivo costante nelle tornate amministrative. Se alle elezioni politiche del 4 marzo dello scorso anno i pentastellati – assoluti vincitori della prova elettorale – hanno conquistato a livello nazionale un elettore su tre, sfiorando il 33 per cento dei consensi (42,5 per cento in Sardegna), da allora le prove locali sono state disastrose: ad aprile in Molise sono passati dal 44,8 per cento di appena un mese prima alle politiche al 31,6 delle amministrative; a fine aprile in Friuli-Venezia Giulia sono passati dal 24,6 per cento delle politiche al 7,1 per cento delle amministrative; a maggio altra stangata in Valle d’Aosta, dove sono passati dal 24,1 per cento delle politiche al 10,4 per cento delle amministrative; ad ottobre dal 19,5 per cento “politico” in Trentino-Alto Adige hanno racimolato soltanto il 7,2 per cento amministrativo a Trento e il 2,3 per cento a Bolzano.

Ai Cinque Stelle non è andata meglio nemmeno alle comunali in Sicilia di giugno 2018, dove sono passati dal “successone” delle politiche – conquistati 28 seggi uninominali su 28 – alla delusione delle amministrative, vincendo solo a Pantelleria e perdendo due terzi dei voti.

Tonfo clamoroso per i Cinque Stelle anche quello di pochi giorni fa in Abruzzo, dove i grillini sono passati dal 39,8 per cento delle politiche al 19,8 delle amministrative. Ed ora la Sardegna, con una grave emorragia dell’elettorato: oltre la metà dei supporters del 2018 ha abbandonato il movimento di Grillo e Casaleggio.

Se è vero che le elezioni politiche e amministrative sono eterogenee tra loro e che i Cinque Stelle risultano penalizzati anche dal fatto che, con la sola propria lista senza “apparentamenti”, fronteggiano le “corazzate” di liste messe in campo da centrodestra e da centrosinistra (rispettivamente undici e otto in Sardegna, 60 candidati grillini contro 1.320 di tutti gli altri), è altrettanto vero che con il passaggio dall’opposizione al governo stanno venendo a galla le contraddizioni di un movimento compresso tra istanze riferibili ad ideologie di destra (vedi posizione sull’immigrazione o sul giustizialismo) e di sinistra (il reddito di cittadinanza su tutte). Ogni scelta, in queste condizioni, rischia di generare “mal di pancia” in vasti settori dei propri aficionados. Insomma, senza un collante ideologico di base, un’organizzazione radicata, alleanze chiare e con il solo richiamo a valori generici (tipo l’onestà), la proposta dei Cinque Stelle – come avevamo largamente previsto – è destinata a sfaldarsi.

Se Sparta piange Atene non ride, recita un vecchio proverbio. Ma le “preoccupazioni” manifestate da qualche esponente leghista per l’indebolimento del compagno di cordata sono davvero sincere? In fondo era prevedibile che nella coalizione gialloverde le posizioni di forza iniziali (32,7 per cento pentastellato contro il 17,5 leghista) potessero quasi capovolgersi. Perché Salvini, oltre ad essere un leader carismatico ed altamente comunicativo e a far suoi temi molto “caldi” per gli italiani come l’immigrazione e la sicurezza, ha una posizione ideologica estremamente netta e chiara, occupando stabilmente l’area di destra. Un terreno quanto mai fruttifero in questi ultimi tempi, addirittura a livello internazionale, dal Nord Europa agli States di Trump fino ad alcune nazioni sudamericane, ad iniziare dal Brasile di Bolsonaro.

In Italia la Lega ha saputo cavalcare al meglio la tigre nazionalista, populista e antiglobalizzazione. Le continue affermazioni a livello locale dimostrano come il partito di Salvini abbia intercettato il vento giusto per calamitare nuovi consensi ad ogni latitudine, sottraendoli non tanto agli altri partiti di centrodestra quanto proprio ai Cinque Stelle, in una logica movimentista e di discontinuità, e persino a sinistra, gli esempi in Toscana ed in Emilia-Romagna non mancano.

Seppur in Sardegna la Lega non ha replicato gli straordinari successi in termini numerici ottenuti in altri territori, il partito di Salvini si conferma comunque volano di tutto il centrodestra e determinante nella sequela di vittorie finali, inanellata senza interruzioni da oltre un anno a livello territoriale.

Ora l’attenzione è proprio al centrodestra, anche perché se Forza Italia continua a calare, fa da contraltare Fratelli d’Italia, che cresce. Le due forze, insieme agli altri cespugli centristi, non aspettano altro che tornare a governare sotto l’ombrello di una Lega sempre più forte, che ormai anche nel Centrosud e nelle Isole conquista consensi e amministrazioni. Con un centrosinistra, da parte sua, che sembra non essere ancora in grado di intercettare tutto l’elettorato finito nel contenitore pentastellato.

La domanda è allora scontata: quanto durerà ancora questo anomalo governo, che da giallo-verde rischia di diventare verde-giallo? Se è vero che entrambe le componenti sono tentate di abbandonare, per ragioni diverse, la nave, è altrettanto vero che una qualsiasi defezione porterebbe probabilmente ad elezioni anticipate e per i Cinque Stelle ciò costituirebbe un suicidio.

E la Lega? Terrà fede alla parola data a Di Maio o si lascerà tentare dalla lusinghe della coalizione più naturale e più presente alla guida delle Regioni, quella del centrodestra? L’appuntamento con le elezioni europee, dove non ci sarà la variabile delle coalizioni, costituirà il vero banco di prova per la conta. Per Di Maio probabilmente sarà l’ultimo appello.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)