Cartelloni pubblicitari su edifici: lo “strano” caso di via Monza

MonzaHanno fatto la fortuna di Mimmo Rotella, l’artista calabrese che grazie ai suoi “manifesti lacerati” è diventato uno dei protagonisti della scena artistica del XX secolo. E hanno contrassegnato l’arte ipercolorata di Fortunato Depero, nome di punta del futurismo italiano.

Nonostante l’era digitale troneggi a livello universale con i suoi freddi bit tecnologici, i cartelloni pubblicitari continuano ad emanare fascino e a rivestire un ruolo importante nella comunicazione quotidiana in tutto il mondo. Anzi, stanno vivendo un momento d’oro a livello globale – il giro d’affari ha oltrepassato i 38 miliardi di dollari (400 milioni di euro in Italia) -perché tra i mezzi più efficaci per animare il mercato dei consumi e più strategici per l’informazione immediata e sociale (si pensi alla Netflix che ha disseminato l’Italia di poster sul caso Cucchi).

Certo, numerosi comitati di cittadini denunciano l’inflazione di pubblicità esterna nelle nostre città: quando è senza regole diventa troppa e, conseguentemente, brutta. Viceversa non mancano i cultori dei poster per l’aspetto creativo e artistico: in fondo la fortuna architettonica di Piccadilly a Londra, di Times Square a New York o di gran parte di Las Vegas è assicurata anche dalla pubblicità che offre scenografie diventate storiche.

Ci sono poi coloro – e non sono pochi anche a Roma – che traggono benefici economici da un cartellone quando è affisso sulla parete del proprio condominio.

Ma c’è anche un futuro sostenibile e “intelligente” per i cartelloni. L’innovazione li sta addirittura rendendo utili: grazie ad una fibra nanotecnologica, quelli di nuova generazione riescono ad assorbire e ad eliminare grandi quantità degli inquinanti responsabili dello smog. Un’altra tendenza è rappresentata dalla digitalizzazione: ai cartelloni di carta o in pvc retroilluminati, ecco affiancarsi i dispositivi a led che aiutano l’illuminazione pubblica di una strada. “La sfida è poi quella di fare interagire i cartelloni con gli smartphone dei potenziali clienti – ha spiegato al quotidiano “Il Foglio” Fabrizio du Chène de Vère, amministratore delegato di Igp Decaux, azienda leader del settore in Italia – cioè mettere certi tipi di pubblicità dove è maggiore la affluenza di potenziali clienti”.

Nel Regno Unito si sta andando oltre: uno schermo che cambia pubblicità in funzione di chi lo sta osservando, grazie a telecamere per il riconoscimento facciale (età, sesso, ecc.).

Insomma, di tempo ne è passato dalle affissioni medievali o dai primi maxicartelloni di fine Settecento grazie all’invenzione della litografia, che pubblicizzavano in particolare i circhi, fino alla pubblicità su trasporto pubblico (in Italia da fine Ottocento) o alle pensiline per bus regalate al Comune di Milano nel 1964 in cambio di una parte dei ricavi sulla pubblicità, modello che ancora oggi funziona. Fatto sta che i poster, che oggi qualcuno vitupera, hanno conquistato persino le principali mostre d’arte, l’Esposizione di Parigi e quella di Chicago.

LA SITUAZIONE A ROMA – Nella nostra città i cartelloni pubblicitari sono cresciuti all’inverosimile, rappresentando talvolta anche un problema di sicurezza per il posizionamento: quelli collocati abusivamente, quindi senza regole, ai bordi delle strade o sugli spartitraffico hanno provocato anche feriti e morti tra pedoni, motociclisti e automobilisti. L’ex sindaco Alemanno parlò senza mezzi termini di “mafia dei cartelloni” e la giunta Marino varò una radicale riforma nel 2014 con il Prip (Piano regolatore degli impianti pubblicitari), prevedendo anche piani di localizzazione.

Il piano esecutivo della riforma è stato però approvato solo un anno fa dalla giunta Raggi, portando il numero dei cartelloni da 28mila a 15mila, con un calo della superficie espositiva da 166mila a 61mila metri quadrati. Ogni impianto deve avere una sorta di “carta d’identità” con ubicazione, tipologia, formato, modalità, proprietà, il valore reale in canone e tributi certi per le casse dell’amministrazione.

Esistono poi le cosiddette “vele”, cioè quei cartelloni montati su piccoli camion lasciati in sosta a lungo sulla sede stradale. Anche questi rappresentano una forma di pubblicità in sede fissa, come ha stabilito anche la Cassazione, pertanto occorre pagare al Comune una tassa per l’affissione.

Per quanto riguarda i maxi schermi a led, i dettami sono contenuti nell’articolo 23 del Codice della Strada su posizionamento, luminosità del monitor, ecc.

Tra le affissioni pubblicitarie che ricevono maggiore interesse negli ultimi tempi, in quanto garantiscono la migliore visibilità nelle zone più trafficate e benefici per i proprietari di abitazioni,sono quelle poste sui ponteggi o su “pareti cieche” o sulla sommità di edifici.

Nel primo caso ci sono società che finanziano restauri conservativi di edifici privati grazie al contributo di aziende sponsor. Ciò consente la copertura parziale o totale dei costi di restauro grazie allo sfruttamento pubblicitario delle superfici esterne dei ponteggi. A fronte di qualche “mal di pancia” per l’impatto estetico non sempre all’altezza, c’è però la possibilità di favorire la manutenzione di edifici che altrimenti potrebbero anche arrecare danni a terzi per stati spesso fatiscenti. Tale operazione è quindi giudicata per lo più in modo positivo, in quanto può garantire anche il restauro di monumenti o opere artistiche (come fa, ad esempio, Urban Vision): tra l’altro le società si occupano in genere dell’intero iter burocratico per l’ottenimento delle autorizzazioni all’esposizione pubblicitaria e allestisce in completa autonomia organizzativa e tecnica l’impianto di affissione.

Una soluzione sempre più adottata, laddove sia possibile, è quella di trasformare facciate condominiali in spazi pubblicitari per “fare cassa”, specie in questo periodo di crisi quando non mancano condomini morosi. Una prima questione è quella del“decoro architettonico”, ma si pone nei soli casi di edifici di particolare pregio storico-artistico, mentre nella maggior parte dei casi la pubblicità è affissa su pareti cieche, spesso tra l’altro vandalizzate con spray. Talvolta, quindi, i cartelloni pubblicitari possono addirittura apportare beneficio ad uno stabile per l’illuminazione aggiuntiva, per il restauro della parete su cui va apposto il cartellone o per la capacità di mimetizzare interventi edilizi ed eventuali imperfezioni o danni presenti sulle parti comuni.

Altra questione è l’eventuale “compatibilità paesaggistica”, cioè se il cartellone può apportare degrado ad edifici limitrofi.

PIAZZA ASTI SI’, VIA MONZA NO – Sono numerosi i cartelloni pubblicitari su edifici ubicati nella zona Appia-San Giovanni. Due “storici” sono quelli in via Taranto, angolo via Orvieto. Altri, più grandi, sono su via Appia Nuova all’altezza dell’Alberone. Su via Tuscolana ce n’è uno subito dopo il ponte sulla sinistra, prima di via Assisi, visibile dalla stazione Tuscolana. Recente, sempre su via Tuscolana, è quello a ridosso di piazza Asti.

Un cartellone che ha fatto scalpore, ma su impalcature per il restauro, è quello posizionato proprio davanti alla facciata della Scala Santa: è lì da oltre due anni.

Pubblicità disegnata direttamente su parete sull’edificio della stazione Tuscolana per promuovere una fiction, mentre sull’ex deposito Atac di piazza Ragusa è stato disegnato Totti per un evento della Nike.

Nonostante questa selva di cartelloni, c’è anche qualche parere negativo da parte delle autorità competenti di cui, però, non è chiara la motivazione.

Una società ha fatto istanza per l’esposizione pubblicitaria su una parete cieca, tra l’altro piena di scritte fatte da writers, di un immobile sito in via Monza. L’edificio, degli anni Cinquanta, non è assolutamente di pregio. E infatti la Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio ha espresso parere negativo, con nota protocollo numero 22220 dell’11 agosto 2017, confermato con protocollo numero 6288 del 2 marzo 2018, non per l’edificio in sé ma perché l’impianto risulterebbe “sovrapporsi in modo rilevante nel paesaggio urbano, alterandone significativamente la godibilità e la percezione (una parete imbrattata?) soprattutto nei confronti degli importanti complessi monumentali… quali la Chiesa di San Giuseppe Benedetto Labre (la cui facciata in realtà non è visibile dall’edificio) e l’asilo Savoia (coperto da una cancellata verde, tra l’altro piena di scritte) nelle immediate vicinanze e, a distanza maggiore, il complesso basilicale di Santa Croce in Gerusalemme (in realtà dalla parte opposta rispetto alla vista del cartellone, invisibile) e le mura aureliane (idem, tra l’altro tenute malissimo, piene di piante infestanti). Firmato dal funzionario Alessandra Centroni e dal soprintendente Francesco Prosperetti.

C’è allora da domandarsi come vengono fatti questi rilievi e se sia preferibile lasciare spazi al vandalismo e quindi al degrado anziché assicurarne comunque una manutenzione.