“Babajé” del romano Francesco Romagnoli

Una storia vera che ha dell’incredibile, con un risvolto che ogni orfano sognerebbe di poter vivere: questa è l’avventura di Babajé, “papà mio” in lingua etiope, che decine di bambini del Tigray, nell’Etiopia settentrionale, hanno iniziato a vivere circa un ventennio fa. Artefice della loro “nuova famiglia”, un villaggio costruito “ad hoc” per ospitare l’infanzia privata di genitorialità – per la guerra o per il caso – è un giovane romano, Francesco Romagnoli, che a contatto con quel mondo fragile decise di lasciare la propria professione, sicura ed affermata, per rivolgere lo sguardo al bisogno umano.

Un itinerario pregno di coraggio, pazienza e determinazione che è raccontato dallo stesso autore ora in un libro, “Babajé. Il richiamo dei bambini invisibili”, uscito per Gremese Editore, e che verrà narrato in prima persona durante la presentazione dell’opera alla Libreria Notebook all’Auditorium martedì 21 marzo, alle ore 18:30.

Romagnoli dialogherà con Iacopo Gori, caporedattore centrale del “Corriere della sera”, per ricostruire in dettaglio la strada che, al prezzo di fatiche e sacrifici incredibili, lo ha portato a edificare un villaggio per bambini orfani e un centro per la cura della denutrizione in un luogo dimenticato dalla civiltà. Un atto rischioso ma straordinario che continua a sottoporsi ai pericoli di una guerra civile tuttora in corso e che tocca lo spettro della violenza e della carestia; al contempo un viaggio emozionante nelle vite di chi si aggrappa alla speranza nella ricerca della condivisione anche di un semplice ma insostituibile abbraccio.

Francesco Romagnoli è nato a Roma nel 1970 da una famiglia di professionisti. Terminati gli studi superiori, si è iscritto alla facoltà di Economia e Commercio dove si è laureato nel 1995. Entrato a lavorare nello studio paterno, nel 2000, dopo un viaggio nel Corno d’Africa, ha deciso di lasciare tutto e si trasferisce in un piccolo villaggio nel nord dell’Etiopia dove vivrà stabilmente per 15 anni e avrà due figli, Michele e Matilde.

Nel 2002 ha costituito insieme ai familiari l’associazione “James non Morirà”. Con i fondi raccolti ha costruito “il più bel villaggio per bambini orfani di tutto il corno d’Africa” e poi nel tempo, un centro contro la denutrizione, scuole, ospedali, strade, pozzi e tanti altri progetti legati alle categorie più deboli; le donne e i bambini.

Rientrato in Italia nel 2015 per permettere ai figli di frequentare la scuola, oggi vive a metà tra Roma e l’Etiopia dove continua a seguire i progetti realizzati e a svilupparne di nuovi.