ANALISI / Il terremoto “all’amatriciana”

Charlie

“Charlie Hebdo”, il giornale satirico francese che ha acquisito amara notorietà per aver subito il tremendo atto terroristico di matrice islamica il 7 gennaio 2015, nell’ultimo numero uscito il 31 agosto ha dedicato una feroce vignetta alle vittime del sisma del Centro Italia. Il titolo ‘Terremoto all’italiana” accompagna l’immagine di due persone insanguinate e di altre sepolte a strati, come se fossero il ripieno della pasta, con la dicitura “Penne al sugo di pomodoro, penne gratinate, lasagne”. Il sangue diventa sugo per la pasta.

Tra le battute presenti nel giornale: “Circa 300 morti in un terremoto in Italia. Ancora non si sa se il sisma abbia gridato ‘Allah akbar’ prima di tremare”.

Si rinnova il dilemma: è satira? Si possono fare battute sul dolore individuale e collettivo per i quasi trecento morti del sisma italiano?

Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, afferma senza mezzi termini che “sulle disgrazie e sui morti non si fa satira”. E anche in Rete lo sdegno è quasi unanime, si critica il diritto alla libertà di espressione che sfocia nel cattivo gusto, la pretesa di fare satira non facendo divertire ma provocando disgusto.

Oltre agli immancabili commenti dei rappresentanti politici, in una sorta di megapasserella del disgusto, c’è una lucida analisi di Enrico Mentana che merita di essere riportata: “Scusate, ma Charlie Hebdo è questo – scrive il giornalista. “Quando dicevate ‘Je suis Charlie’ solidarizzavate con chi ha sempre fatto simili vignette, dissacrando tutto e tutti. Le vignette su Maometto anzi facevano alla gran parte degli islamici lo stesso effetto che ha suscitato in tutti noi questa sul terremoto. Fu Wolinski, una delle vittime dell’attacco terrorista del gennaio 2015, a far capire ai colleghi italiani quarant’anni fa che la satira poteva essere brutta sporca e cattiva. Vogliamo rompere le relazioni con la Francia dopo aver marciato in loro difesa? Basta più laicamente dire che una vignetta ci fa schifo”.

Al di là dell’episodio francese, infortunio o meno che sia, non possiamo fare a meno di rilevare una “spettacolizzazione” in termini gastronomici del terremoto lazialmarchigiano. In tutta Italia si allestiscono buffet di “amatriciana solidale” (come quello con 18mila persone nel centro di Bergamo), si promuovono Iban per la raccolta di fondi, si attaccano manifesti per pubblicizzare raccolte di vestiti, si organizzano eventi di solidarietà. Ma davvero la solidarietà ha bisogno di essere sbandierata e di riempire pance e portafogli?

Perché la Regione Lazio, attraverso manifesti affissi in tutto il territorio, chiede soldi ai cittadini per i terremotati di Amatrice e dintorni: quelle onerose tasse pagate annualmente, oltre ad assicurare stipendi a solerti funzionari, non dovrebbero servire anche ad affrontare le calamità naturali?