Alberone: usura ed estorsioni con metodo mafioso, cinque arresti a Roma

Usura, estorsione aggravate dal metodo mafioso ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria: per questi reati, cinque persone, che gravitavano nella zona dell’Alberone (a San Giovanni), sono state arrestate dalla Polizia su ordine del gip del tribunale di Roma.

Sono accusate dalla procura di aver concesso a diverse vittime, quasi tutti piccoli imprenditori del quadrante sud-est della capitale, somme di denaro da restituire ad interessi che oscillavano tra il 60% ed il 240% su base annua.

Il via alle indagini è scaturito da una denuncia raccolta in zona Appio nel novembre del 2018, che ha permesso di fare luce su un gruppo di persone che fanno capo alla famiglia calabrese dei Piromalli dediti all’attività finanziaria abusiva ed estorsiva servendosi di modalità tipiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Tre fratelli Piromalli, assieme a due romani di 55 e 51 anni dei quali uno gravato da numerosi e svariati precedenti, erano specializzati nel concedere in prestito somme di denaro a tassi illegali, ricorrendo anche alle estorsioni pur di rientrare in possesso degli interessi imposti.

Intercettazioni, video e accertamenti bancari, fatti a cavallo tra la fine del 2018 e la conclusione del 2019, hanno consentito di ricostruire le “competenze” di ciascun indagato, secondo un preciso progetto illecito consistente nella sistematica concessione di prestiti ad interessi usurari a persone in difficoltà economiche, con l’aggiunta di eventuali maggiorazioni che venivano comminate in caso di ritardo nei pagamenti.

L’Alberone è il territorio in cui la famiglia Piromalli era riuscita ad ingenerare negli abitanti un clima di terrore ed uno stato di soggezione nei loro confronti, ‘humus’ necessario ad agevolare e far progredire tutte le loro attività illecite.

Le indagini hanno provato i continui legami di almeno uno dei Piromalli con ambienti della Calabria dove era in rapporti con elementi di organizzazioni criminali di stampo mafioso, e le indicazioni impartite ai fratelli per il recupero delle somme di denaro che non venivano restituite alle condizioni inizialmente dettate e per la gestione e il reinvestimento delle somme ricavate dalle attività illecite.

Il ‘modus operandi’ prevedeva che in occasione dei mancati pagamenti o dei ritardi – per i quali venivano prospettati dei “rimproveri” agli imprenditori – il denaro veniva riscosso dietro minacce e violente estorsioni, in molte circostanze ricorrendo al contributo di uno dei due romani che veniva utilizzato dalla famiglia come “braccio armato” al loro servizio.

Le particolari modalità esecutive attraverso la quotidianità delle pressioni esercitate sulle vittime, a cui veniva dimostrato costantemente di essere capaci di istanze punitive, rappresentano pienamente – per chi indaga – l’aggravante del metodo mafioso previsto dall’art. 416 bis.1 c.p., in quanto si realizzavano sistematiche pressioni ed intimidazioni tipiche della criminalità organizzata anche con condotte funzionali all’affermazione del proprio nome sul territorio e contribuendo cosi’ a diffondere la “fama” criminale dei tre fratelli.

(Agi – agenzia Italia)