Studenti fuorisede a Roma, un libro di Alessandra De Blasio

Io gennaio

Un appartamento con i pavimenti da garage, le porte da ospedale, due bagni in uno, il telefono duplex, quello che permetteva ad un sola utenza di telefonare isolando l’altra. E’ la realtà degli studenti universitari fuori sede a Roma, descritta magistralmente da Alessandria De Blasio nel libro “Io gennaio me lo immagino bello. Storie di una fuorisede” per i tipi delle edizioni “La Ruota”.

L’autrice, molisana di Campobasso, ha vissuto a Roma gli anni universitari fino alla laurea. E nella Città Eterna c’è rimasta, come del resto avviene per tanti studenti fuori sede. Del resto non c’è condominio, nella nostra città, dove un appartamento venga trasformato in una sorta di comune per studenti calabresi o siciliani, abruzzesi o lucani.

La De Blasio racconta, con una certa nostalgia, quegli anni spensierati, in cui tutto sembrava magico e sovradimensionato rispetto ai luoghi adolescenziali della provincia. Ecco allora la descrizione dei padroni di casa, madre e figlio, interessati unicamente a fare business sulla pelle di quei poveri studenti, con consegne di soldi per strada, degne di un film sulla mafia. Eppoi i pasti, il sonno, gli umori, tutto che diventa esperienza in comune. Un ventaglio di storie importate dai paesi abruzzesi e molisani e il granitico confronto con la bonaria tracotanza della Città Eterna: i capitolini strabuzzano gli occhi quando i dialetti sono estranei al loro universo conosciuto. La richiesta di un “ruoto”, alias “teglia”, riconduce ai fatidici 230 chilometri di distanza tra Roma e Campobasso. Inevitabili, per quanto abissali.

L’autrice, con un grande lavoro introspettivo che si unisce amabilmente all’approfondita analisi del mondo reale, mette costantemente a confronto la terra d’origine, il Molise, vissuto come un austero dipinto fitto di pennellate di grigio e di bianco che impersonano il freddo, la neve, la nebbia – perché un territorio montuoso del Sud è anche una sorta di Mezzogiorno nordico – gli intonaci scrostati, la lentezza dei ritmi, la diffusa sussistenza, il protagonismo del mese di gennaio e Roma, dove è sufficiente farsi un tragitto sul bus 490 per vivere un’esperienza incredibilmente romantica. La città è una mistura di surrealismo e decadenza, un’eterna “Grande Bellezza” che offre ineluttabile seduzione, comicità involontaria e un diffuso senso del provvisorio.

E allora la genia di studenti universitari fuori sede, “che poi fuori sede ci restano per tutta la vita”, diventa quasi apolide. Sospesi, randagi, precari, con quella sensazione di sentirsi sempre lontani da qualcosa di saldo ma, nel contempo, sfuggente.

E’ lontana la città dell’infanzia dove la libertà poteva essere rappresentata da una bicicletta, con quel turbinare in centro che diventa girotondo felliniano, tra amicizie e palpitazioni amorose. Mentre Roma è un susseguirsi di set cinematografici o pagine di un romanzo infinito.

La De Blasio offre un “manicaretto letterario” in cui s’identificano generazioni di ex studenti fuori sede nella loro transumanza tra i tanti arroccati borghi che puntellano il territorio appenninico e il terminal metropolitano di tante esistenze. E nei ringraziamenti finali, quando i cassetti hanno amabilmente svuotato il loro prezioso contenuto, emergono quei valori ancestrali che coprono e tengono insieme quei fatidici 230 chilometri sull’asse Città-Provincia: la costanza, la pazienza, la forza, l’affetto, l’amore e l’amicizia. “Ringrazio il mondo e le sue pene, la vita e le sue gioie. In un attimo, soltanto un attimo, di profondissimo amore”.

(Gia.Cas.)