Scup e Sans Papiers, la passeggiata a San Giovanni

Il punto sugli spazi “sociali” di San Giovanni. E’ quello compiuto sulla testata on-line “Comune-info” da due realtà antagoniste della zona, ormai radicate: “Scup”, di recente trasferito a via della Stazione Tuscolana dopo lo sgombero dai locali occupati di via Nola (ex motorizzazione) e “Sans Papiers” di viale Carlo Felice, palazzo occupato da molti anni, di proprietà della Banca d’Italia.

Il focus inizia con il cosiddetto “Castro occupato”, cioè l’edificio di via Castrense angolo via Caltagirone (proprio all’uscita della tangenziale est), di proprietà del principe Vaselli. Occupato nel 2003, è diventato sede di alloggi per famiglie senza casa. Durante l’amministrazione Veltroni, con Luca Odevaine vicecapo di gabinetto e tra i responsabili del settore emergenza abitativa, è stato trasformato in residence. Dopo un lungo braccio di ferro e una giornata convulsa, con blocchi stradali e cassonetti dati alla fiamme, ora lo stabile è chiuso e controllato da sorveglianti..

Situazione più o meno analoga a quella di via Nola 5, ex locali della motorizzazione, quindi pubblici, diventati improvvisamente privati quando – come spiegano gli estensori dell’articolo – “il Fip (Fondo immobili pubblici) decise di svenderlo insieme a molti altri pezzi di patrimonio romano. Finì nelle mani della F&F immobiliare, i cui titolari risultano proprietari anche del controverso stabile conosciuto come Best House Rom: un centro d’accoglienza, chiuso il 1 dicembre 2015 dopo numerose denunce ed esposti tra cui anche quello della Commissione Diritti Umani del Senato, che ha denunciato le disastrose condizioni di vita nella struttura”. Chiusi per anni, i locali di via Nola sono stati occupati nel 2012 soprattutto da persone abitanti nello stabile occupato di viale Castrense. E’ così nato il progetto “Scup” (Sport e cultura popolare), in cui i promotori hanno dato vita ad un centro polifunzionale di servizi sportivi e culturali, tra cui corsi di lingue. Dopo un primo sgombero, lo stabile è stato sgomberato definitivamente il 7 maggio 2015 da un imponente spiegamento di forze dell’ordine. I ragazzi fuoriusciti hanno allora occupato uno stabile delle Ferrovie in viale della Stazione Tuscolana. I locali di via Nola sono stati messi in inagibilità e per il loro futuro si prevede l’ennesimo centro commerciale, a poco più di un anno dall’inaugurazione di “Cappio” su via Appia Nuova.

Tornando su viale Castrense, strada dalla storia piuttosto travagliata, ci si sofferma sul civico 48 (due fabbricati). Hanno avuto anch’esso una storia controversa. Si racconta nel pezzo: “A sentire il Municipio, dovrebbe essere di sua proprietà, tant’è che ci fu indicato anni or sono come possibile risposta alla richiesta formale di spazi di aggregazione per i giovani del territorio. Purtroppo la situazione di allora non consentiva questo passaggio. I due prefabbricati in questione erano infatti un cumulo di macerie: un incendio li aveva distrutti quando erano sede delle attività di Porte Aperte, punto di ritrovo di gruppi di estrema destra, a cui poi fu trovata, nuova sede, e da allora sono state in stato di abbandono”. Oggi la situazione è confusa. Continua il racconto: “Nel corso degli anni il Municipio ha avuto modo di risistemare quegli spazi. Ormai ristrutturato, lo stabile è stato dunque assegnato, ma non c’è traccia del bando. Una parte dell’edificio risulta essere sede di varie associazioni”.

Un secondo padiglione dovrebbe invece diventare sede dei corsi di “Bartender’s Italia”, che alla cifra di 300 euro a settimana daranno l’opportunità ai giovani del quartiere di diventare bravi barman, raccontano i ragazzi con evidente polemica contro il Municipio VII, tra l’altro amministrato da una giunta di centrosinistra con una presidente proveniente da Rifondazione comunista.

Arriviamo a quello che viene giustamente definito “capolavoro”, sempre in viale Castrense: il centro d’accoglienza “Associazione il Ponte”. Punto di riferimento per una quarantina di ragazzi africani. Uno dei luoghi in cui ha lavorato alacremente il sodalizio di Mafia Capitale, dove, com’è noto, “il business sull’accoglienza dei rifugiati fruttava meglio della droga” (citazione). Soldi – tanti – finiti alle cooperative che offrivano servizi – non sempre “impeccabili” – agli ospiti dei centri e condizioni di lavoro non certo esaltanti per gli operatori.

Dopo lo scandalo di Mafia Capitale, lo stabile, incustodito e sotto sequestro, è stato teatro di tre incendi, l’ultimo dei quali lo ha ridotto ad un cumulo di macerie. Chi assisteva allo spegnimento ha commentato: “Stavolta hanno mandato qualcuno più bravo nel fare il lavoro”. Atti serviti per coprire chissà quali prove e distruggere qualche libro contabile compromettente. Un’azione, tra l’altro, che ha cancellato un edificio storico, tra i più interessanti della storia recente del territorio.

C’è poi un’altra “chicca” della gestione del quartiere. Si tratta della fine ingloriosa della sede della Polisportiva G. Castello in via Sannio, “passata ad altri assegnatari nella trasparente gestione Alemanno”. Anche qui, attualmente, c’è il nulla assoluto. Assegnazione legale, intendiamoci, ma di fatto l’impianto è chiuso, tutte le sue attività sportive interrotte, e ad oggi il luogo è abbandonato.

Il dettagliato articolo non può tralasciare la grande opera che ha lacerato socialmente ed anche fisicamente la zona, cioè la Metro C, la più dispendiosa d’Italia, che decideva proprio di scavare là dove qualche anno prima era stato strappato all’incuria qualche spazio verde. Il tutto abbattendo alberi secolari nel progetto folle del chilometro più costoso della storia delle metropolitane, quello da San Giovanni a piazza Venezia. Non è finita. C’è da aggiungere a questo affresco qualche altro particolare. Ci sono i depositi dell’Ama, che ancora attendono il trasferimento previsto all’indomani del Giubileo del 2000, e tutt’ora utilizzati; sarebbe interessante capire perché.

Annota amaramente il pezzo: “Una sorta di periferia del centro, suo malgrado emblematico della mala gestione del territorio romano. Immagine viva di come un territorio possa essere desertificato dalla connivenza tra amministratori e speculatori, e allo stesso tempo essere terreno di esperienze di contrasto alla speculazione e sperimentazioni di gestione e valorizzazione dal basso”.