OPINIONI / Sanremo, appunto…

SanremoNel Festival di Sanremo, in fondo, c’è la Patria delle radici e della memoria e quella a cui aspiriamo, legata ad un futuro sempre aleatorio. Sono analoghe tra loro le due Italie, evidentemente esaltanti; ma nella realtà quotidiana – nelle scuole, nelle imprese, nei servizi pubblici, negli uffici amministrativi – non riusciamo quasi mai a perpetuarle. Per questo restano sospese nella magia temporale di una manciata di ore distribuite in poche lustrinate serate.

L’arte, il gioco, il talento, la poesia, la bellezza. Le luci e i vestiti luccicanti. I fiori, l’attenzione al dettaglio, gli ospiti, il buon (o cattivo) gusto, l’immagine estetica esaltata a scienza. E’ una miscela esplosiva che, come un crescendo rossiniano, ci infiamma sera dopo sera. E ne discutiamo, come nell’eterno bar dello sport, cristallizzando le nostre certezze.

C’è tutta l’Italia un po’ guascona e passionale, del saper vivere tra colori e canzoni prese con coscienziosità, in questo gioco infinito. La gara assicura quella competizione che sa tanto di campionato di calcio o di risultati elettorali (e infatti anche la politica, ogni tanto, fa capolino).

Ci piace Sanremo, l’italianissima Sanremo, la sempre sorprendente Sanremo. Che funziona meglio proprio quando di straniero c’è poco. Perché, come italiani, ce la meritiamo Sanremo, nel bene e nel male, nelle scoperte e nelle polemiche, nei “bravi presentatori” e nei testi efficaci.

Abbiamo ri-scoperto (l’aveva già fatto Fazio con “Anima mia”) un intrattenitore di razza, che oltrepassa le già straordinarie doti di cantante. Abbiamo definitivamente consacrato l’erede di Vittorio Gasmann: il monologo di Favino tratto da “La notte poco prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès semina pathos da lacrime agli occhi. Poi la polivalente Hunziker, il geniale disordine di Sabrina Impacciatore, il talento nostrano da esportazione della Nannini, di Giorgia, di Laura Pausini.

Restano i duetti senza sbavature, la perennità della Vanoni, la maturità di Barbarossa ed il coattismo di talento. E “la vecchia che balla” (l’83enne inglese Paddy Jones) che è il vero inno alla vita in eterna vacanza. A Sanremo, appunto.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)