Quell’architetto abruzzese che fece più bella Roma

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Ovviamente può piacere o non piacere, ma di certo il grande palazzo dell’Acea in via Eleniana, prima di Porta Maggiore, ha una sua personalità. Ed una sua originalità, con quella ricchezza di materiali ben armonizzati nell’estesa facciata. Interessante, allora, approfondire la conoscenza del suo ideatore, uno dei più attivi architetti del Novecento a Roma, l’abruzzese Raffaele De Vico. Un artista che ha arricchito la Città Eterna di numerose opere pubbliche, ma che è ricordato soprattutto per i tanti e prestigiosi progetti di parchi e giardini, da Villa Glori (parco della Rimembranza, 1923-1924) a Colle Oppio (1928), dai parchi della Vittoria (Monte Mario, 1928), degli Scipioni, (1929), Virgiliano (via Nemorense, 1930), Savello (il Giardino degli Aranci all’Aventino, 1932), della Resistenza (1933-1934) fino all’ampliamento del Giardino Zoologico (1939), suoi il rettilario e la grande gabbia della voliera.
A lui si deve anche il serbatoio di Villa Borghese del 1925, la sistemazione dei giardini degli scavi di Ostia antica (1930), i giardini del Laghetto dell’Eur e numerosi interventi a San Giovanni e zone limitrofe, dai vecchi giardini di via Carlo Felice a Villa Fiorelli, dagli interventi in via Cessati Spiriti a Colli Albani fino ai parchi di San Sebastiano e degli Scipioni, nonché la Villetta D’Achiardi in via San Sebastiano.
De Vico era nato a Penne, in provincia di Pescara, il 18 aprile 1881 e morirà a Roma il 15 agosto 1969, quindi quasi novantenne. Era figlio d’arte, dello scultore Angelo De Vico e di Emma Bartolini.
Il padre, nato a Penne nel 1853, giovanissimo si era trasferito a Firenze per lavorare nello studio di Giovanni Dupré e, negli anni successivi, frequentò l’accademia di belle arti. Tornato a Penne, insegnò scultura nella locale scuola d’arte, di cui fu anche direttore per più di trent’anni.
Il figlio Raffaele acquisì, invece, una formazione di agrimensore presso l’istituto tecnico di Chieti e successivamente di perito tecnico agrario presso l’attività dello zio Vincenzo Sbozzieri. Esperienze che gli fornirono le basi per la conoscenza delle piante, che gli sarà utilissima per sistemare giardini. Dopo gli studi a Roma, presso l’Accademia di belle arti, dove conseguì il diploma di professore di disegno architettonico, approfondì come autodidatta la conoscenza della Città Eterna, in particolare della sua urbanistica, dei suoi monumenti e dei suoi giardini.
Basilare fu la conoscenza di Pompeo Passerini, collaboratore di Sacconi nella realizzazione del Vittoriano. De Vico tra il 1908 e il 1914 fece parte dello studio del Passerini dove acquisì il gusto per il “barocchetto” che connoterà gran parte della sua opera.
Quella di De Vico sarà una carriera lunghissima, con inizio dai primi anni del Novecento e picchi di attività nel periodo fascista, durante gli anni del Governatorato. Annoverò i seguenti ruoli: dipendente degli Ospedali Riuniti di Roma come aiutante tecnico; poi, con la stessa funzione, presso il Servizio costruzioni delle Ferrovie dello Stato; nel 1913 vince il concorso come aiutante tecnico di III classe nell’amministrazione capitolina; professore di architettura a tempo indeterminato al Liceo artistico di Roma; membro della Commissione di estetica cittadina; geometra principale nell’ufficio tecnico del comune di Roma dal 1921; consulente generale per i parchi e giardini dell’E42, su indicazione di Marcello Piacentini, nel 1939; tra i fondatori dell’Associazione italiana degli architetti del giardino e del paesaggio nel 1950; capo del Servizio Giardini dell’Eur dal 1955 al 1961.
Oltre ai giardini, ha realizzato importanti opere monumentali ancora oggi molto apprezzate per uno stile equilibrato, armonico, con una particolare attenzione all’inserimento nel contesto storico, urbanistico e architettonico dei suoi progetti.
Agli inizi della sua carriera, ha collaborato alla realizzazione di Villa Lubin (1911), al palazzo del ministero dei Lavori pubblici (1908-1927) e al monumento a Vittorio Emanuele II. Poi ha vinto il concorso per realizzare il monumento ai caduti della Grande Guerra presso il Cimitero monumentale del Verano.
La prima opera di rilievo fu il parco della Rimembranza a villa Glori (1923-1924), di circa 28 ettari, a cui fece seguito, nel 1925, il progetto per la sistemazione a parco di Monte Mario, con utilizzo di terrazzamenti, scalee e vie d’acqua (attuato per una porzione molto limitata, poi ripreso nel 1951.
Tra gli altri progetti: il rinnovo del Semenzaio comunale (Casaletto, Palazzina della Direzione, Aranciera), il giardino di Monte Sacro (piazza Sempione), i giardini di via Flaminia, l’area del Teatro di Ostia Antica. (in collaborazione con l’archeologo Guido Calza), il giardino di Piazza Verbano, il giardino di Piazza Bologna, la sistemazione e il restauro di Villa Sciarpa, il Parco di Monte dei cocci a Testaccio, il giardino del Campidoglio (1926), il giardino dei Ravennati a Porto (Ostia), la sistemazione del parco di Castel Fusano, Villa Paganini (1934), il Casale di Aguzzano (1936), la fontana dell’Acqua Vergine nella prospettiva del Pincio (piazza del Popolo, 1937), Villa Alfano sull’Appia Antica (1940), Villa Cecilia-Pia Marzi-Marchesi sull’Appia Pignatelli, la tomba della famiglia Palazzetti al Verano, il Roseto di Roma (1950).
Tra il 1926 e il 1932 realizzò i giardini nell’area delle Terme di Traiano sul Colle Oppio, per un’estensione di circa 20 ettari; la scoperta di una sorgente fornì l’opportunità per la realizzazione di fontane e giochi d’acqua.
Tanti anche i progetti non realizzati come quello per il Ponte lungo (1924), per la nuova Accademia di Belle Arti a Valle Giulia (1930), per teatro all’aperto a Villa Celimontana. (1930), per il monumento delle diciotto regioni italiche e delle colonie d’oltremare (1942), per il Parco all’Acqua Santa per Umberto Palazzotti (1947), per la Mostra d’acqua del Peschiera a Monte Mario (1949), per il serbatoio d’acqua per l’Eur (1950), per il Parco dantesco di Monte Mario (1951).
Non ha fatto mancare il suo apporto per progetti relativi alla sua terra natale. Negli anni 1906 e 1907 ha lavorato presso l’ufficio di Lino De Cecco, ingegnere capo dell’ufficio tecnico di Castellammare Adriatico (oggi Pescara), dove ha anche conosciuto Gabriele D’Annunzio. Poi ha firmato il progetto per l’Istituto tecnico di Guardiagrele. Nel 1938 ha realizzato il progetto per Villa Acerbo a Caprara d’Abruzzo (restauro e sistemazione del parco). Nel 1941 ha progettato il restauro della Chiesa della Madonna della Libera nella sua città, Penne.
Nella sua vita ha collaborato con importanti professionisti come Gustavo Giovannoni, Antonio Muñoz, Marcello Piacentini, Corrado Ricci, Paolo Salatino.
Ha sposato Maria Ravaglia da cui ha avuto quattro figli: Fabrizio (divenuto architetto, 1912-2007), Giuliana, Marella e Fabio. Ha vissuto al Casale del Graziano a villa Borghese.
Fuori Roma ha firmato il padiglione di Roma alla Esposizione Internazionale di Torino. (Mostra di Floricoltura e Giardinaggio), Villa Lina-Igliori a Ronciglione (Viterbo) e la tomba della famiglia Talenti a Nettuno (1936)
Per approfondire la conoscenza dell’architetto abruzzese si può ricorrere al libro su di lui dal nipote, l’architetto Massimo de Vico Fallani. Vi si può trovare, tra l’altro, la lettera con cui un’amministrazione particolarmente sensibile e attenta verso il ruolo, estetico, sociale e funzionale, del verde pubblico (altri tempi), scriveva: “Premesso che l’amministrazione comunale ha sempre rivolto le sue più assidue cure al problema quanto mai delicato e importante dei giardini e delle passeggiate pubbliche della nostra città….il regio commissario delibera di affidare al Prof. Raffaele de Vico l’incarico della consulenza artistica per i pubblici giardini e le pubbliche passeggiate… per detto incarico verrà corrisposto un onorario mensile di lire 1000″.

Raffaeledevico

Raffaele De Vico