OPINIONI / Rimborsi stella(t)i

5StelleUna pattuglia di parlamentari pentastellati – per il numero definitivo probabilmente ci sarà da attendere ancora – ha dunque evitato di procedere alla devoluzione di parte del lauto stipendio a favore del microcredito, gesto che rappresenta una delle bandiere morali del movimento di Grillo e Casaleggio junior.

Se è vero che i Cinquestelle sono l’unico partito che rinuncia volontariamente ad un diffuso e molto discutibile privilegio e la ventina di milioni di euro raccolti parla chiaro, è altrettanto vero che questa vicenda – per quanto tirata fuori in campagna elettorale – conferma quella serie di interrogativi sul movimento che mira a battezzare Di Maio primo ministro del nostro Paese.

Una prima questione riguarda la trasparenza. Il Movimento Cinque Stelle, nonostante professi la democrazia diretta, continua a presentare troppe zone d’ombra nella propria organizzazione interna e nei passaggi più significativi del proprio percorso politico. Emblematica la voce secondo cui Luigi Di Maio abbia personalmente messo mano alle liste, includendo o eliminando candidati, anche coloro che avevano fatto il pieno di preferenze nel voto on-line (il caso più clamoroso a Torino, ma ricorsi ci sarebbero in tutta Italia). Parallelamente i frequenti errori nelle piattaforme informatiche – ma anche le lungaggini per conoscere i risultati delle consultazioni interne – prestano il fianco alle critiche. E il ruolo di Casaleggio junior, ma anche di altri personaggi pentastellati, resta non del tutto chiaro. Anche l’auto-allontanamento di David Borrelli, primo consigliere pentastellato di un capoluogo italiano, padre della piattaforma Rousseau, vicinissimo a Beppe Grillo, è avvenuto in un clima da “Chi l’ha visto?”.

Un secondo aspetto riguarda il processo di istituzionalizzazione del movimento, sempre meno “da maglione” anti-sistema e più “da doppio petto” da circolo degli affari. Un passaggio delicato e non del tutto facile per una pattuglia di rappresentanti dove non mancano cultori della materia “scie chimiche”, sostenitori delle sirene in mare o chi definisce genocidio le vaccinazioni. Insomma, l’avvicinamento all’auspicata “salita al Colle” per avere l’incarico esige presentabilità e accreditamento. Le visite alla City di Londra o alle associazioni imprenditoriali, le candidature non riservate esclusivamente a illustri sconosciuti (si pensi ai giornalisti Emilio Carelli e Gianluigi Paragone, il comandante Gregorio De Falco, l’olimpionico di nuoto Domenico Fioravanti, il velista Andrea Mura, fino alla “jena” Dino Giarrusso) li sta rendendo più simili ai partiti tradizionali. E ciò alimenta il dissenso interno, come avvenuto in Sicilia e in altre parti d’Italia. Ora questa storia delle mancate donazioni non può che far male.

Una terza questione riguarda il venir meno di alcune “certezze” delle origini, quelle che hanno fatto la fortuna di un movimento salutato come uno schiaffo anti-Casta, al pari della Lega agli inizi degli anni Novanta. Offuscata l’onestà – indubbiamente “l’incidente” degli otto parlamentari può essere letto come marginale e fisiologico rispetto ad un battaglione di 123 parlamentari – persino l’obbligo del mandato limitato alle due legislature si sta rivelando un boomerang, in quanto spinge chi dovrebbe abbandonare a trasferirsi in altri lidi, vedi l’approdo di ex grillini in molte delle attuali liste.

Con un elettorato ideologicamente molto trasversale, in linea con parlamentari dai trascorsi tanto a destra quanto a sinistra, la domanda centrale è: che movimento si ritroveranno gli italiani dopo il 4 marzo?

(Domenico Mamone)