Metro C, la passerella artistica e ben altre realtà

SanGiovanniVale

Dopo l’anteprima per la stampa e le dichiarazioni della sindaca Raggi, sabato 1 aprile, giorno di “pesci” e quindi non proprio ideale per un evento edulcorato, la fermata San Giovanni della metro C di Roma s’è offerta alla “ammirazione” della cittadinanza con i suoi cimeli romani esposti in vetrine. Un’anteprima di qualche ora per patiti di selfie, in linea con la modernità tecnologica, seppur in uno scenario da museo della civiltà romana.
La fermata di San Giovanni dovrebbe diventare operativa, con sei anni di ritardo, ad ottobre prossimo. Chiudendo l’ennesima tappa di un percorso accidentato per garantire a Roma un’infrastruttura tra le più costose di sempre.
La linea C della metropolitana della Capitale, è bene ricordarlo in un Paese dalla memoria corta, è stata progettata negli anni Novanta, ai tempi del sindaco Carraro e sarebbe dovuta essere inaugurata per il Giubileo del 2000, collegando le basiliche di San Giovanni e di San Pietro, in un bagno tutto religioso. Sfumato il sogno ecclesiale, i lavori hanno preso il via nel 2007 e dopo dieci anni di tribolazioni soprattutto per gli abitanti delle zone interessate dai cantieri, con funeste ripercussioni sul commercio, sulla sicurezza, sull’arredamento urbano (quanti alberi sacrificati!) e sulla qualità della vita, ecco l’anomala “festa di San Giovanni”, dal 24 giugno anticipata al 1 aprile, appunto giorno degli scherzi.
Grande schieramento di personale, distribuzione di mappe e di gadget, un fiume di persone con domande un po’ scontate, tra tutte “Quanto durerà il “tutto lindo”?”.
Le belle vetrine con reperti romani, tantissimi e splendidi, non possono però cancellare le tante ferite di quest’opera in gran parte incompiuta.
Infatti la linea C avrebbe dovuto attraversare l’intera città dalla popolosa periferia est, tra Casilina e Prenestina, estendendosi oltre il Grande Raccordo Anulare, fino all’area nord-ovest, quartiere Prati e oltre, passando per il centro storico e quindi collegandosi alle altre due linee.
I numeri sono inconfutabili: originariamente era prevista una lunghezza di oltre 25 chilometri con 30 stazioni. Ad oggi le stazioni sono 21, cioè nove in meno del previsto. I chilometri 18, sette in meno. Con tutta la parte nord-ovest di Roma, ma probabilmente anche il centro, che ne resterà fuori.
Per far partire le prima tratta di 15 stazioni sono stati necessari ben sette anni di lavori, un altro anno per sei stazioni (da Mirti a Lodi). Per la sola stazione di San Giovanni sono occorsi, appunto, dieci anni, con sei anni di ritardo rispetto alle previsioni. Impietosi i paragoni con altre metropolitane europee.
Per la vox populi i ritardi sono dovuti al fatto che a Roma, ogni volta che si scava, dal sottosuolo fuoriescono le testimonianze del glorioso passato. E si blocca tutto. In realtà l’enorme peso della burocrazia, le immancabili diatribe tra le parti (nel caso della metro C con rimodulazione del contratto), le 45 varianti, ma anche esposti e istruttorie su procedure non proprio ortodosse determinano tempi “all’italiana”. Così, ad esempio, per aggiungere al percorso altre due stazioni su cui si lavora da tempo, “Amba Aradam-Ipponio” (a ridosso del Celio) e “Colosseo”, s’è fissata la data ufficiale del 2023. Ma è tutto ancora imprevedibile, anche sul fronte dei finanziamenti per il completamento dell’opera. Perché di soldi finora ne sono stati spesi tantissimi.
Non è ancora chiaro il costo finale di questa infrastruttura incompiuta per le tasche degli italiani: sul sito di Roma Metropolitane si parla di tre miliardi e 739 milioni di euro (previsti), in attesa quindi dei rendiconti definitivi. Tutti soldi pubblici: 70 per cento da parte dello Stato, il resto dagli enti locali.
Il primo aprile, con la stazione di San Giovanni aperta, tanti cittadini hanno potuto ammirare gli straordinari reperti romani emersi nel corso degli scavi. Sono ora ordinatamente esposti nelle numerose vetrine che arricchiscono la stazione. Riusciranno, però, a controbilanciare la realtà meno esaltante, cioè quella dei numerosi interrogativi sul perché in Italia occorrano così tanti anni per fare una grande opera, tra polemiche, sperperi ed interessamenti da parte dei sindacati e soprattutto dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che meno di un anno fa ha scoperto che Metro C ha duplicato le spese per la sicurezza, un sistema di conteggio che Cantone ha ritenuto “ingiustificato”?
Per chi volesse approfondire questi aspetti, c’è un bel libro di 144 pagine scritto dal giornalista napoletano Enrico Nocera. S’intitola “Metro C: Roma, capitale degli sprechi”, un’inchiesta edita da Round Robin che racconta nel dettaglio la storia del più grande cantiere d’Italia, dei costi lievitati dagli iniziali due miliardi e 600 milioni circa agli oltre tre miliardi e 700 milioni, appunto. Ma anche dell’intreccio tra politica e imprenditoria.
Tralasciando il tema – dalle risposte abbastanza scontate – sul perché non si sia rinnovata la vecchia ma strategica linea tranviaria che dal quartiere Giardinetti arriva al centro di Roma toccando più o meno gli stessi quartieri della metro C, risparmiando quindi un bel mucchio di soldi investiti in quest’opera incompiuta, resta un altro argomento centrale: gli invasivi cantieri della metro C hanno rappresentato “un’occasione sprecata” in quanto avrebbero potuto riqualificare i quartieri periferici e semicentrali toccati dall’opera.
Emblematico quanto successo a San Giovanni: nonostante i comitati di zona abbiano presentato diversi progetti per rilanciare la sostenibilità in un’area fortemente degradata dal traffico e dallo smog, i progettisti si sono limitati a ripristinare la condizione precedente all’opera, ma con un arredo urbano certamente meno a misura d’uomo (orribili sfiatatoi della metro lungo via La Spezia e largo Brindisi al posto dei pini secolari annientati dai cantieri). Niente pista ciclabile, area verde, giardino della lettura a disposizione della biblioteca e della scuola “Carducci” o altre “coraggiose” innovazioni per un città che non sa più sognare. Mentre non si sa che fine farà il 51, uno dei pochi autobus della zona che transitano con una frequenza degna di una metropoli. Intanto il 16 e l’81 ripristinati su via La Spezia ridurrano l’offerta su via Taranto con il solo 85. E la Roma contemporanea, purtroppo, continua a far parlare di sé quasi sempre in negativo.

(Gi.Ca. – Appioh/Unsic)