L’OPINIONE / No al ritorno del clima anni Settanta

Anni70

Domenico MamoneLaura Boldrini, la terza carica dello Stato, ha affermato che i movimenti neofascisti vanno sciolti. Pietro Grasso, seconda carica dello Stato, ha accolto l’appello della collega di partito (entrambi militano oggi in “Liberi e Uguali”). In fondo non ci sarebbe stato bisogno del richiamo dei due politici perché la Costituzione su questo punto è fin troppo chiara. La negazione delle libertà e gli atteggiamenti razzisti sono inconciliabili con la democrazia e con una società liberale.

Tuttavia non è sufficiente una semplice dichiarazione nel corso di un comizio – tra l’altro in un periodo caratterizzato da non poche tensioni come una campagna elettorale – per affrontare una rilevante questione. Bisognerebbe, piuttosto, capire perché i movimenti neofascisti, che in genere hanno costituito frange molto minoritarie e certamente residuali dal dopoguerra fino a qualche anno fa, oggi godano di adesioni crescenti in tutto l’Occidente, Italia compresa.

La destra, nel nostro Paese, è stata a lungo rappresentata dal solo Movimento sociale italiano, partito nato nell’immediato dopoguerra dalle ceneri del fascismo e che ha raccolto stabilmente tra il 5 e il 7 per cento dei consensi a livello nazionale. Con una punta del 9 per cento alle politiche del 1972, per lo più come reazione all’apice della contestazione giovanile e della spinta a sinistra in atto nei primi anni Settanta. Un serbatoio di voti bloccato principalmente da due fattori: la contrapposizione tra Dc e Pci, in cui molti elettori di destra preferivano “rafforzare” la Democrazia cristiana quale diga al “pericolo comunista”; l’obbligato immobilismo del Msi, escluso dall’arco costituzionale e ghettizzato all’opposizione.

Le cose sono iniziate a cambiare con la fine della cosiddetta “guerra fredda” globale, cioè con il venir meno della contrapposizione tra Occidente e Blocco sovietico e con la caduta del muro di Berlino. L’affermazione della destra economica neoliberale, che ha fatto propri anche lembi delusi e “riallineati” dell’ex sinistra, ha finito per alimentare – per molti inspiegabilmente – una forte opposizione proprio “da destra”, un antagonismo fatto di una miscela di populismi, localismi e nazionalismi in chiave antiglobalizzazione. Insomma, mentre la destra s’è ramificata, la sinistra ha visto via via ridotti i propri spazi, incapace soprattutto di gestire i fenomeni conseguenti alla rapida affermazione delle nuove tecnologie (che ha spinto in particolare il neoliberismo) e di rispondere in modo univoco al complesso tema dell’immigrazione (che ha invece alimentato, per contrapposizione, la destra più estrema).

All’inizio degli anni Novanta, con la cosiddetta Seconda repubblica, in Italia sono stati spazzati via in pochi mesi partiti, certezze ed equilibri cristallizzati in quasi mezzo secolo di democrazia. L’avvento di Forza Italia e della Lega, lo sdoganamento dell’ex Msi che con la trasformazione in Alleanza nazionale ha assorbito una parte della Dc hanno costituito i presupposti per lo sviluppo di nuove/vecchie destre anche nel nostro Paese.

Cavalcando soprattutto la crisi economica e morale, le questioni dell’immigrazione e dell’insicurezza, le destre – un tempo residuali – sono oggi maggioritarie, seppur declinate in un lungo segmento che va dai moderati del centrodestra fino alla forte ascesa della Lega di Salvini, che – con la svolta nazionale e nazionalista – ha occupato lo spazio politico che fu proprio del Movimento sociale italiano, ma probabilmente con il doppio o il triplo dei consensi. A ciò vanno aggiunti i movimenti che si richiamano palesemente ad immagini, pratiche e azioni del fascismo, che fanno presa soprattutto nelle periferie e tra i giovanissimi e che per la prima volta hanno incassato rilevanti affermazioni a livello locale (emblematico il 9 per cento ad Ostia di CasaPound).

Il rischio, come sta avvenendo in questi giorni (vedi Palermo o Perugia), è che gli attriti su basi ideologiche, nella rituale contrapposizione fascismo/antifascismo, degenerino e ci ritroviamo a vivere gli aspetti peggiori degli anni Settanta, con centinaia di giovani vittime – in tutti i sensi – della lotta politica. Le contrapposizioni, spesso accresciute dai toni verbali, rischiano di invelenire la coda di questa campagna elettorale. Per prevenirla servirebbero dichiarazioni forti e unanimi di questo tipo: il contraddittorio non deve mai tradursi in violenza. La democrazia liberale va salvaguardata proprio con il confronto finalizzato all’approfondimento dei temi, al capire le ragioni, alla conoscenza reciproca, unici anticorpi ai soprusi e all’aggressività di ogni matrice politica.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)