LA NOTA / Non dimentichiamoci la cultura

CulturaE’ rimasta celebre la frase di un ministro il quale poco meno di una decina d’anni fa avrebbe sentenziato che con la cultura non si mangia. Benché lui abbia poi smentito quell’affermazione, è però un sentire comune che tra cultura ed economia ci sia una sorta di baratro. Lo stesso ex presidente statunitense Obama consigliò ai giovani del Wisconsin, per avere un futuro radioso, di studiare economia anziché storia dell’arte.

Eppure a leggere i numeri – crescenti – di quanti turisti optino per le città d’arte o quante imprese operino nel sistema produttivo culturale e creativo c’è da demolire – e non poco – tali radicate ma erronee convinzioni.

Ad esempio, l’ottava edizione del rapporto “Io sono cultura”, realizzato annualmente da Symbola e da Unioncamere, attesta che a fine 2017 nel nostro Paese operavano ben 414.701 imprese collegate ad attività culturali e creative, che incidono per ben il 6,7 per cento sul totale delle attività economiche del Paese; queste danno lavoro a 1,5 milioni di persone, che rappresentano il 6,1 per cento del totale degli occupati in Italia. Il comparto cresce in tutti gli ambiti e più della media globale nazionale, ad esclusione dell’editoria che registra numeri in negativo. Complessivamente il sistema genera oltre 92 miliardi di euro e “attiva” altri settori dell’economia, arrivando a muovere, nell’insieme, 255,5 miliardi, equivalenti al 16,6 per cento del valore aggiunto nazionale.

Questo trend italiano è in linea con quello europeo: l’incidenza più visibile è nel turismo, dove la ricerca di testimonianze artistiche e di eventi muove numeri crescenti di persone in ogni Paese del vecchio continente. Nell’anno dedicato dalla Commissione europea al patrimonio culturale è importante ricordare come l’enorme patrimonio storico-artistico e ciò che ne ruota attorno rappresentano uno dei motori della ripresa economica e che l’Unione europea sta destinando notevoli risorse per la conservazione e promozione del patrimonio culturale.

L’Italia ha un vantaggio competitivo enorme per influenza culturale, grazie alla capacità di trasmettere cultura e bellezza non solo per le testimonianze del passato, ma anche nelle produzioni contemporanee. Si pensi alla moda, al design, agli eventi di spettacolo, a cominciare dalla musica classica e operistica. E’ proprio in questo intreccio caratteristico del nostro Paese, tra cultura, manifattura e ingegno, che le aziende possono giocare un ruolo importante, coniugando i saperi del passato con le idee per il futuro.

Come ben evidenzia Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, puntare su cultura e creatività equivale a puntare in alto, cioè utilizzare quelle competenze – in genere frutto di un più alto livello d’istruzione – in grado di affrontare le grandi trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e la stagione dell’Industria 4.0.

L’impresa culturale e creativa è estremamente ricca e variegata. Oltre al patrimonio storico-artistico fatto di siti archeologici, monumenti, musei, biblioteche, archivi, ecc. e alla manifattura, che include l’artigianato artistico, c’è una vera e propria industria culturale che si esprime nell’editoria, nel cinema, nella musica, nel software, nella comunicazione, fino al design che investe buona parte del “made in Italy”, dal mobile alla nautica.

Cultura & economia, quindi, costituiscono un binomio inossidabile. Tra l’altro radicato in tutto il territorio nazionale. Se le leadership appartengono alle grandi aree metropolitane a specializzazione culturale e creativa, cioè principalmente Roma e Milano, quindi Torino, Firenze e Bologna, ci sono realtà più piccole dove la cultura riveste un ruolo prevalente, tra queste Siena, Arezzo, Ancona, Trieste, Aosta, Modena e Monza. Purtroppo il Mezzogiorno, benché ricco di giacimenti culturali e di un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; soltanto il 4,2 per cento del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura. Ciò rappresenta un problema ma anche un’opportunità di rilancio, su cui siamo obbligati a investire nei prossimi anni.

(Domenico Mamone, presidente Unsic)