ANALISI / Taglia-stipendi ai deputati, tra populismo e pragmatismo

C’è un innato – ma anche giustificato, visti gli eccessi – senso di rabbia e di invidia per stipendi e benefit dei nostri parlamentari (e di altri ampi settori della nostra pubblica “burocrazia”). Un atteggiamento in fondo ancestrale nel nostro Paese, dove le disparità sociali e le ineguaglianze ci sono sempre state e, per giunta, continuano a crescere in una sorta di ritorno dei secoli bui.

Questo atteggiamento anti-Casta, rafforzatosi negli ultimi anni, lo conosce bene il che su questa anti-politica ha costruito buona parte dei propri successi. Tanto a livello locale, premiato come alternativa alle situazioni più disperate (Parma, Livorno, Roma), quanto a livello nazionale, dove il movimento di Grillo si presenta come alternativa alle tradizionale formazioni di centrodestra e di centrosinistra, peraltro entrambe in calo strutturale di consensi per quanto hanno fatto (o non fatto) finora.

Ecco allora che la proposta di legge dei Cinque Stelle che mira a ridurre gli stipendi dei parlamentari non può che ben inserirsi nel binario ideologico dei pentastellati e cogliere nel segno, pur nel suo carattere estremamente populista. Perché, in fondo, tra le argomentazioni che da anni alimentano la crisi (e l’austerity) c’è proprio il taglio dei costi. Lo stesso fonte del Sì al referendum insiste sull’aspetto economico del taglio dei senatori, trascurando il risvolto ben più importante, quello legato agli equilibri democratici. Ma la vox populi, impietosa, a più riprese sottolinea: “Perché non cominciano loro a dare il buon esempio tagliandosi stipendio e infiniti benefici?”.

Al di là del peso davvero eccessivo degli stipendi mensili pagati nei Palazzi del potere, più diarie, spese di esercizio, ecc., ma anche di quanto riservato ad ex parlamentari e consiglieri regionali, ciò che sta emergendo nel dibattito di questi giorni sul tema è particolarmente emblematico sul fatto che il problema non è solo di numeri ma di merito. A prescindere che, in effetti, lo stipendio dovrebbe essere legato alla produttività, c’è il fatto che parte di quei soldi finiscono al partito in una sorta di “mutuo della candidatura”. Secondo accuse che partono dai banchi dei Cinque Stelle, chi paga finisce in lista. Insomma, in un modo o in un altro è sempre questione più di soldi che di politica sana.

La proposta di legge, per la cronaca, mira al dimezzamento delle indennità dei parlamentari. I Cinque Stelle, con coerenza, già si decurtano lo stipendio a favore del microcredito. Forse, al di là dello scontro propagandistico tra le due principali formazioni politiche, un atto di buona volontà anche sugli stipendi farebbe soltanto bene al Paese.

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